sabato 22 maggio 2010

Considerazioni sulla Monodieta a base di Pere Williams


Una pera al giorno, toglie (per forza) il peperoncino piccante di torno...


Premessa...
Lo scorso lunedì per esattezza, ho cominciato una monodieta diurna a base di pere Williams.
Purtroppo ho dovuto optare per questo frutto in quanto non riuscivo più a trovare presso i miei fornitori di fiducia alcun tipo di mela di quelle che soddisfano il mio palato e così mi sono ritrovata più o meno volutamente, a sperimentare una monodieta diurna a base di pere. Ho comprato un'intera cassetta, veramente copiosa di pere Williams al prezzo di 0.70 cents al kg.
In totale ho pagato 5 euro.
Non avevo mai provato prima di allora una monodieta a base di questo frutto. Sapevo che ci sarebbero state delle differenze rispetto alla mela ma non avrei mai immaginato fino a questo punto...

Quel giorno trovai in offerta anche delle banane supermature e le acquistai in quantità, usufruendo sempre dello sconto a 0.70 cents al kg.
Intanto in casa avevo ancora 7 mele messe da parte a maturare, per assicurarmi così di cominciare sempre la mia giornata con una buona mela rossa invece di qualche altro frutto...

Giorno per giorno...


Lunedì: Al mattino, per incominciare la giornata, mela rossa. A seguire 8 pere medie divise in due tempi. Cena: Insalata di fruttortaggi. Banane.
Impressioni: Faticai a stare a solo pere per tutta la giornata. Più volte sentivo la voglia di mangiare una banana. Feci resistenza.

Martedì: Al mattino, mela come primo frutto. A seguire 8 pere medie divise in due tempi. Banane sfuse. Cena: Insalata di fruttortaggi. Banane.
Impressioni: Apparve la sensazione di un residuo granuloso che scava all'altezza del plesso solare e avvolge la lingua... Cominciai ad avvertire i sintomi della falsa fame, o meglio, le sensazioni di un qualcosa che scavava dentro si spostarono più in basso, nel mio stomaco. Da qui, mi arrivarono fino alla testa. Mi sentivo come quando la gente crede di aver effettivamente "fame". Non ero stanca, non mi mancavano le forze ma non riuscivo a concentrarmi pienamente nelle attività che svolgevo a causa di questo continuo disturbo allo stomaco. Quando ero a solo mele non avevo questi sintomi di falsa fame e per questo potevo focalizzarmi al massimo in tutto ciò che facevo.

Verso le 17:00 mi venne voglia di prendere delle banane e ne mangiai due. Mi bastò questo per capire che una mono di pere non avrebbe funzionato a lungo. Infatti, non durò che un solo giorno... Presi due banane, perchè anche la banana è un frutto che ti fa sentire sazio solamente quando lo mangi almeno in coppia...forse non è un caso che cresca in caschi...


Mercoledì: All mattino, mela rossa. A seguire 8 pere frullate con 2 banane in due tempi, a coprire l'intera giornata. Banane sfuse. Cena: Insalata di fruttortaggi, banane.
Impressioni: Il terzo giorno, iniziai come sempre con la mela ma poi, quando volli prendere delle pere, osservai che da sole non mi andavano tanto, non ne venivo proprio attratta e dunque, dato che oramai avevo fatto una grande scorta, decisi di frullarmele insieme alla banana.
Feci due frullatoni di 4 pere e 1 banana ciascuno e riempii così la mia giornata fino a cena.
Mi accorsi che neanche questo metodo riusciva a sopire sufficientemente quella sensazione di granulosità che mi rimaneva dentro ed i sintomi della falsa fame peggioravano sempre di più. Oltre ai frullati venivo attratta da banane sfuse, datteri, frutta zuccherina in pratica.
Decisi di mollare l'uso del peperoncino piccante nelle mie insalate serali perchè sentii il mio corpo vulnerabile e non volli affliggerlo pure con questo irritante.

Pochi giorni dopo trovai un articolo del Dr Doug Graham a proposito di frutta in cui asseriva che se non abbiamo ricevuto il nutrimento necessario al nostro corpo, sentiamo la necessità di mangiare frutta zuccherina. Con le mele infatti non mi era mai successo di desiderare banane o datteri, con le pere sì. A cena insalata di fruttortaggi più banane sul tardi.

Giovedì: Al mattino, mela come primo frutto. A seguire 8 pere frullate con 2 banane divise in due tempi, a coprire l'intera giornata. Banane sfuse. Datteri, specialmente 1 ora dopo che terminavo di bere il primo frullatone. Cena: insalata di fruttortaggi. Banane, datteri.
Impressioni: Tristemente presi atto che una monodieta a base di pere non è sostenibile per il mio corpo e i sintomi della falsa fame aumentavano ogni giorno di più spingendomi a mangiare molte banane e datteri lungo tutto l'arco della giornata. Non riuscii a smettere di desiderare frutta dolce per tutto il giorno, neppure dopo cena. Mi accorsi di star mangiando troppe banane per compensare al fatto che di giorno non ricevevo nutrimento appropriato dalle pere.

Venerdì:
Al mattino, mela rossa. A seguire A seguire 8 pere frullate con 2 banane divise in due tempi, a coprire l'intera giornata. Banane sfuse. Datteri. Cena: insalata di fruttortaggi. Banane, datteri.
Impressioni: Sempre più faticoso mantenere l'attenzione ignorando i sintomi della falsa fame. Feci sempre più fatica a mangiare questi frullatoni; mi disturbavano il corpo, la mente, mettendomi di cattivo umore. L'elevato numero di banane che utilizzai per tappare momentaneamente questi fastidi me ne provocò altri, ossia leggera pesantezza che di solito nel giro di una mezz'ora si esauriva lasciando di nuovo posto però, alla falsa fame.

Verso sera, mi recai in zona centro e trovai delle mele favolose, mature al punto giusto. Feci una bella scorta.

Sabato: Al mattino, mela. Mele e ancora mele grazie a D-o, di quelle belle che comprai ieri sera in centro. 6 mele da stamane. Cena: Insalata di fruttortaggi. Avocado. Mela, 2 banane.


Resoconto Finale:
Certamente non sono ancora disintossicata completamente dai sintomi della falsa fame però dopo aver provato questo "esperimento" con le pere, posso ben dire che :

  1. la monodieta diurna a base di pere è insostenibile per la mia persona
  2. mi ha fatto uscire dal monotropismo a cui ero abituata
  3. mi ha fatto perdere lucidità, dovuto in parte ai sintomi della falsa fame e anche dal fatto che ho mescolato più frutti insieme (pera e banana) addirittura frullati, neanche integra


Non tutto il male vien per nuocere..


Nonostante tutti questi piccoli disagi, da questa esperienza negativa ho ottenuto che...
  1. senza mele (e dunque senza appagamento) il mio ego è diminuito al punto tale da farmi capire l'abisso che intercorre tra la mela e la pera sacrificando il peperoncino piccante a riprova del mio stato di "lutto" interiore
  2. senza peperoncino l'insalata di fruttortaggi ha perso molto del suo "appeal", ha perso molta presa su di me dal punto di vista del gusto contribuendo così a staccarmene sempre più progressivamente. Da quando infatti ho smesso di usarlo, la sera non faccio più troppi salti di gioia all'idea di apprestarmi a mangiare kg di frutta non proprio adatta al genere umano.



Grazie alle monodieta melariana diurna ho ottenuto i seguenti traguardi:
  1. falsa fame notevomente diminuita; sia da onnivora che da vegan crudista ero schiava dei suoi sintomi in parte dovuti certamente ai cibi inadatti che consumavo sia a causa dell'abitudine malsana acquisita nel tempo di distrarmi guardando la tele,leggendo o parlando durante il pasto (conseguenza del primo fattore)
  2. più consapevolezza alimentare; il rapporto con il mio cibo è cambiato notevolmente seguendo questo regime giorno dopo giorno. Grazie all'apparente "privazione" del pranzo a base di fruttortaggio ho avuto modo di apprezzare le forme, il sapore, il gusto del frutto Integro e singolo che mi apprestavo a mangiare;
  3. lucidità ed acutezza mentale mai vista prima


Ho dovuto far credere al mio corpo di togliergli il cibo e farlo morire di (falsa) fame per fargli comprendere alla fine che ciò che stavo ingerendo in realtà non era propriamente cibo e non solo lo nutriva per metà, ma addirittura lo intossicava parzialmente (la fruttortaggio che mi chiamava il peperoncino piccante)...

Arrivando al Nocciolo...

Forte della mia esperienza in prima persona credo che la fruttortaggio non sia il genere di frutta più indicata per l'uomo e perciò bisogna fare molta attenzione a questo aspetto, mi rivolgo sopratutto a chi è in transizione verso il fruttarismo..
E' molto facile infatti che chi voglia diventare fruttariano faccia largo uso inizialmente di questi frutti senza sapere che basta veramente poco per scivolare via dal fruttarismo mangiando appunto frutta..
Non faccio allarmismi nè proselitismi... porto solamente la mia esperienza personale di frutto-melariana, dato che ultimamente in un certo ambiente va di moda creare neologismi...
Stesso discorso vale pure per la frutta acida, non mi stancherò mai di ripetere. Non importa quante altre testimonianze troverò nel corso delle mie ricerche online o di testimonianze in prima e seconda persona di amici e conoscenti che ripetono tutti le stesse cose circa gli effetti corrosivi degli acidi di arance, limoni, papaya, pompelmi e kiwi, continuerò a far valere la mia posizione con la stessa forza del primo giorno perchè credo fermamente nel meraviglioso percorso che ho intrapreso che sta nutrendo la mia anima, la mia mente ed il mio corpo attimo dopo attimo...


Alla luce di tutto ciò, credo inoltre che per parlare di fruttarismo e pratica fruttariana quotidiana in maniera consapevole al fine di fare informazione corretta sull'argomento sia necessario per forza di cose essere fruttariani al 100% sia per una mera questione di coerenza e secondo poi, perchè solamente chi vive la frutta al 100% può rendersi conto della veridicità o meno di certe affermazioni e di certe dinamiche che hanno luogo DENTRO un corpo fruttariano. Questo principio vale per tutti i settori, non solo per il fruttarismo. Il mio pensiero sarà sempre libero e naturale, proprio come l'albero ci dona del suo frutto.

Il Fruttarismo, la dieta naturale dell'Uomo

 Un'altra meravigliosa dispensa in tema Fruttarismo a cura del Prof  Armando D'Elia.

Da "gustare" online oppure scaricare in versione pdf cliccando QUI








 Indice
  1. Il Fruttarismo: la dieta naturale dell'Uomo
  2. L'uomo Fruttariano diviene Carnivoro
  3. Le proteine della Frutta
  4. L'Uomo non discende dalle scimmie
1. IL FRUTTARISMO: LA DIETA NATURALE DELL'UOMO

Per una corretta comprensione dell'argomento di questa relazione occorre fare uno sforzo su sé stessi: si devono, cioè, lasciare da parte tutte le teorie e le ipotesi sull'alimentazione dell'uomo preistorico che grosse forze economiche ed una scienza asservita al potere e al profitto hanno cercato di farci accettare a tutela di determinati interessi. Si deve invece cercare di dare risposte soddisfacentemente accettabili agli interrogativi che certamente suscita tale tema, utilizzando il buon senso, la logica elementare e i nostri orientamenti istintivi: sono, questi, tre semplici ma potenti strumenti di indagine di cui tutti disponiamo e che dobbiamo rivalutare ed usare con determinazione.

Occorre partire da un dato di fatto incontestabile: i nostri antichi progenitori non erano carnivori, non erano erbivori, non erano onnivori, erano semplicemente dei fruttariani e lo furono per moltissimi anni, i primi della loro esistenza. Essi, non ancora bipedi, vivevano sugli alberi della foresta, che dava loro l'unico cibo al quale la specie umana è biologicamente adatta, cioè la frutta succosa e dolce, che ancora oggi istintivamente appetiamo e cerchiamo da piccoli finché conserviamo i nostri sani istinti alimentari. Quindi noi tuttora nasciamo fruttariani, non ci sono dubbi, non ce ne possono essere, da bambini desideriamo e rubiamo la frutta, non la carne, non la verdura, essendo attirati unicamente dal cibo più confacente alla nostra struttura fisiopsichica e quindi nutrizionalmente ottimale, come l'anatomia comparata, la fisiologia comparata ed altre discipline scientifiche comprovano.

Indubbiamente, per ogni specie animale esiste un cibo adatto, più di qualsiasi altro, a quella specie e la frutta succosa e dolce è, appunto il cibo più adatto naturalmente alla specie umana.

Scientificamente questo è spiegabile facilmente dato che esiste una stretta relazione, profonda ed atavica, tra un certo tipo di alimento e la struttura anatomo-funzionale dell'animale che di esso si nutre; tale relazione costituisce garanzia di conservazione e di salute per quell'organismo, il quale, pertanto, è, ovviamente, attratto "istintivamente" da quello specifico alimento. Quell'organismo è, in conclusione, predisposto, per legge naturale, in modo ottimale, alla ingestione e alla digestione di quell'alimento soprattutto e più di ogni altro alimento.

La terminologia è importante; deve essere quanto più possibile esatta, per evitare confusioni, errori di valutazione, interpretazioni fuorvianti, conclusioni sbagliate.
Detto questo, ecco che sorge qui la necessità di fare chiarezza sulla differenza tra "fruttivoro" e "fruttariano" e tra "fruttivorismo" e "fruttarismo".

Parliamone, quindi.

Il termine "fruttivorismo" indica un generico "mangiar frutta"; pertanto "fruttivoro" è "chi mangia frutta". Orbene, se pensiamo che esistono popoli che non conoscono l'uso alimentare della carne e dell'olio, o del pane, o del latte non umano, ma che (significativamente!) non esiste alcun popolo che ignori la frutta come alimento, allora TUTTI gli abitanti della Terra si potrebbero qualificare "fruttivori", anche se assieme alla frutta mangiano altro? CERTAMENTE.
Ma quei fruttivori che sono finalmente riusciti ad individuare nella frutta il proprio UNICO e duraturo alimento, ripristinando felicemente l'alimentazione naturale dei nostri antenati, sono dei fruttivori particolari che occorre distinguere dagli altri fruttivori chiamandoli "fruttariani" e chiamando "fruttarismo" il modello alimentare da loro raggiunto. Non sarebbe errato quindi dire che i fruttariani sono dei "fruttivori fruttariani".

In conclusione, tutti i fruttivori e quindi indistintamente tutti gli uomini della Terra sono potenzialmente dei futuri fruttariani in quanto tutti inevitabilmente, più o meno tardi e più o meno velocemente, approderanno (questo è il vero progresso!) al fruttarismo, ambita meta di tutta l'umanità, impegnata ormai nel lungo viaggio di ritorno alla alimentazione naturale, che ha intrapreso molti millenni fa.

È, questo, un viaggio lunghissimo, ma che verrebbe enormemente accelerato se da bambini fossimo lasciati liberi di crescere nutrendoci solo con la frutta, unico alimento che l'istinto ci suggerisce e che ambiamo mangiare e non fossimo invece soggetti alle pressioni deviatrici dei genitori, di coetanei già viziati, di pediatri che, ignoranti o venduti all'industria, influenzano purtroppo le cure parentali. Ancora qualche nota di terminologia per affermare che si può validamente usare il termine "frugivoro" quale sinonimo di "fruttariano", come autorevolmente confermano il glottologo Pianegiani nel suo "Dizionario etimologico della lingua italiana" ed il linguista Webster nel suo "New International Dictionary". Va ricordato anche che la radice etimologica di FRUCTUS è la medesima di "frugale" e quindi di "frugalità", per indicare un modello di alimentazione sobrio e limitato a modeste quantità di prodotti della terra, il che torna a lode del vegetarismo e, naturalmente, del fruttarismo.
C'è chi, facendo leva sul fatto che FRUGES (latino) significa "frutti", ma significa anche "biade", sostiene, più o meno artatamente, che il termine "frugivoro", se si privilegia tale secondo significato e se ci si riferisce all'uomo, giustifica il ricorso alimentare ai cereali da parte dell'uomo stesso.

Una simile tesi è però scientificamente insostenibile per molti motivi e soprattutto per i seguenti, da tenere sempre presenti:

1. I cereali danno dei frutti secchi (cariossidi) che, se interi, sono inadatti ad alimentare l'uomo mentre sono adatti, per esempio, a nutrire uccelli granivori, che sono fomiti di un apparato digerente appositamente strutturato per la digestione di questi frutti/semi delle graminacee (famiglia alla quale appartengono i cereali) e ben diverso da quello umano. L'uomo soltanto ricorrendo ad artifici riesce ad utilizzare i cereali: con la MOLITURA e poi con la COTTURA, ricavando alla fine dei prodotti morti, privati, fra l'altro, del corredo vitaminico.

2. All'uomo si addicono solo i frutti crudi (cioè "vivi"), carnosi e dolci, che costituirono - si ripete - la sua unica fonte di alimentazione nella preistoria e che contengono più o meno la stessa percentuale media di acqua presente nel corpo umano (65%).

3. La digestione degli amidi dei cereali è particolarmente onerosa in quando a dispendio energetico e alla fine approderà alla formazione terminale di monosaccaridi (cioè zuccheri semplici, come, per esempio, il glucosio) che troviamo già presenti, pronti ad essere assorbiti senza fatica, nella frutta carnosa e dolce.

Se, invece, si fa riferimento non all'uomo come fruitore di cereali, ma ad altri animali, l'affermazione secondo la quale è corretto l'utilizzo alimentare dei cereali è scientificamente valida. Del resto si è già visto dianzi che per gli uccelli granivori le cariossidi (integre) dei cereali costituiscono cibo adeguato. Lo precisa attenzione! - lo stesso glottologo Pianegiani (prima citato) il quale ci dice che FRUGES con il significato di "biade" si addice "propriamente alle bestie", intendendo evidentemente per "bestie" gli animali non umani e particolarmente gli erbivori, i quali infatti usano le biade come foraggio e per i quali quindi è giusto dire (come, sempre il Pianegiani dice) che "si pascono" di biade.

Poiché questo paragrafo fa parte di un lavoro imperniato sulle proteine nell'alimentazione umana, uno dei punti qualificanti è senza dubbio quello che riguarda le proteine della frutta, che costituirono per millenni l'unico cibo dell'uomo preistorico. L'uomo, però, ad un certo momento del suo passato preistorico divenne carnivoro e la carne, si sa, è un alimento eminentemente proteico, che continua ad essere presente nella comune dieta di gran parte dell'umanità.
Quale abisso tra l'uomo preistorico fruttariano testé descritto e l'attuale uomo carnivoro! Perché l'uomo divenne carnivoro! Cerchiamo di rispondere a questo inquietante interrogativo nel seguente paragrafo.

2.
L'UOMO FRUTTARIANO DIVIENE CARNIVORO

Dalle proteine della frutta alle proteine della carne.

Ovviamente, nel lunghissimo periodo durante il quale l'uomo si nutrì solo di frutta nella sua patria d'origine, la foresta intertropicale fruttifera, il suo fabbisogno proteico non potè essere coperto altro che dal contenuto proteico della frutta, sull'entità del quale tratteremo in un apposito sottocapitolo.
Cerchiamo invece di capire i motivi dell'avvento del camivorismo nella vita dell'uomo, fatto che ha tutte le caratteristiche di una tragica involuzione, dalla quale prese l'avvio la degenerazione fisiopsichica dell'uomo attuale; anche le modalità con le quali questo evento ebbe a realizzarsi sono degne di attenzione. Ecco perché è necessario parlarne prima di riprendere il discorso sulle proteine.
Durante la preistoria dell'uomo si verificarono eventi meteorologici e geologici che alterarono profondamente l'ambiente. In particolare vennero alterati i biomi vegetali dai quali l'uomo traeva il proprio nutrimento. Avvennero:

· glaciazioni (espansioni dei ghiacciai),
· interglaciazioni (ritiri dei ghiacciai e avvento di climi più caldi),
· periodi di forte inaridimento climatico (siccità),
· periodi di aumenti eccezionali di piovosità (pluviali).

Per l'uomo fu particolarmente importante l'ultima glaciazione, denominata WÙRM, per la precisione WÙRM III, dell'era quaternaria (pleistocene). Tale immane glaciazione comportò l'avanzata dei ghiacciai su gran parte delle regioni euroasiatiche, con conseguente distruzione delle foreste e con effetti che si protrassero sino a 10.000 anni fa circa. Ma coeve di tale glaciazione furono le intensissime precipitazioni (pluviali) che si verificarono in Africa; ed anche questi eventi climatici furono gravidi di conseguenze per l'uomo. A tali pluviali fecero seguito delle fasi di calo drastico delle piogge e di conseguente inaridimento del clima. A tutto questo bisogna aggiungere gli effetti della formazione della Great Rift Valley, lungo la quale l'Africa si è come spaccata a causa di un grandioso effetto tettonico, tuttora in corso.

L'insieme di tali eventi provocarono notevolissime riduzioni delle foreste che si trasformarono prevalentemente in savane.
L'uomo fu così costretto a comportarsi come un animale da savana, per sopravvivere, fu costretto a cibarsi di quello che in tale ambiente trovava. Vi trovò le graminacee, piante che richiedono spazi aperti, luce solare diretta, condizioni offerte dalla savana e non dall'ombrosa foresta donde l'uomo proveniva. Ci dice il prof. Marcelle Cornei, illustre studioso, dal quale tanto abbiamo appreso, nel suo "Quaderno della salute": "L'uomo, per derivazione ancestrale, è una scimmia d'ombra: visse per milioni di anni sugli alberi, nell'ombra delle fronde; sceso a terra, poi, vagò per altri milioni di anni nella savana".
Ora, le graminacee (ne abbiamo già parlato) producono frutti secchi, inodori e insapori;

sono, insomma, come dicemmo, cibo per uccelli. Con artifizi l'uomo riuscì, con l'aiuto del fuoco, ad utilizzare queste cariossidi. Ma l'evento più rivoluzionario che occorse all'uomo, comportandosi come un animale da savana, fu il ricorso, a scopo alimentare, alla carne degli erbivori abitatori della savana, divenendo così, per necessità, un mangiatore di carne, sempre però con l'aiuto del fuoco, non potendo mangiare crudi ne le cariossidi dei cereali ne le carni. Senza l'artifizio della cottura e (per i cereali) della molitura, l'uomo non avrebbe potuto diventare ne un mangiatore di carne, ne cerealivoro, giacché le sue caratteristiche anatomiche naturali (dentatura, ecc.) da sole, non lo avrebbero consentito.

L'impatto con le innaturali deviazioni alimentari (cereali e proteine di cadaveri di animali, peraltro cotti, cioè morti) ebbe, per l'uomo, conseguenze catastrofiche in termini di salute e di durata della vita: il che è comprensibile, dato quello che io chiamo "salto a strapiombo" tra un alimento vivo e vitalizzante come la frutta da una parte e gli alimenti amidacei e carnei, cadaverici e mortiferi, iperproteici come la carne, uccisi e quindi devitalizzati con la cottura, dall'altra.
Reay Tannahill nella sua "Storia del cibo" ci dice che addirittura "durante il periodo dei Neanderthaliani meno della metà della popolazione sopravviveva oltre i 20 anni e 9 su 10 degli adulti restanti morivano prima dei 40 anni".

Fu soprattutto l'avvento del cibo carneo, con il suo contenuto eccessivo di proteine e con la conseguente tossiemia a produrre tali disastrosi effetti sul corpo, ma anche sulla mente degli uomini; non bisogna infatti dimenticare che la carne crea aggressività.
S'è detto prima che anche le modalità con le quali questi eventi così negativi si produssero "sono degne di attenzione". Accenniamone, quindi riferendo, in succinto, quanto a questo riguardo dice James Collier, autorevole antropologo: "In conseguenza dei disastrasi effetti di tali eventi sconvolgenti sul clima e sulla vegetazione, l'uomo non potette più affidarsi ai vegetali per nutrirsi e dovette ricorrere alla carne."
Ma l'uomo è inerme, quindi non è per natura carnivoro, essendo sfornito anatomicamente dei dispositivi atti ad inseguire, uccidere e masticare, crude, le carni degli erbivori. Si pensa pertanto che l'uomo primitivo non sia stato, all'inizio, tanto un cacciatore quanto uno spazzino, che si nutriva delle prede fatte da altri animali veramente carnivori, mancandogli anche la insensibilità necessaria per aggredire ed uccidere con le proprie mani degli animali pacifici e innocenti, oltre che inermi. Forse, adoperando sassi e bastoni, l'uomo riusciva ad allontanare il leopardo dall'antilope uccisa, se ne impossessava e la trascinava al sicuro nel suo rifugio. Tale comportamento è stato chiamato anche "sciacallaggio".

Ma l'uomo non si limitò a sottrarre agli animali carnivori parte delle loro prede, ma fu costretto anche, quando non trovava da esercitare tale funzione di sciacallaggio, a cacciare direttamente, forzando la sua naturale non-aggressività, spintovi sempre dalla necessità di trovare i mezzi per sopravvivere. Il prof. Facchini (docente di antropologia all'Università di Bologna) si dice certo che l'uomo preistorico adoperò il fuoco a scopo culinario soprattutto per cuocere la carne. Concorda su tale affermazione anche il prof. Qakiaye Perlès, dell'Università di Parigi.
Ma oggi per fortuna non esistono più le ragioni di forza maggiore che obbligarono i nostri antenati ad alimentarsi con cadaveri di animali per assicurarsi il fabbisogno proteico; pertanto da molto tempo l'uomo ha inserito in misura crescente frutta, verdura e ortaggi crudi nella propria dieta. Occorre però vigilare sempre, per difenderci dall'autentico agguato che le industrie alimentari ci tendono continuamente proponendoci, ricorrendo alla propaganda a mezzo dei mass-media e all'opera nefasta di medici prezzolati, sostanze di dubbia convenienza o addirittura nocive.

3. LE PROTEINE DELLA FRUTTA

II tema di questo paragrafo riveste una particolare importanza nella problematica delle proteine. La sua trattazione è necessariamente complessa in quanto deve attingere a molteplici informazioni provenienti da fonti non solo assai disparate ma che possono sembrare a prima vista lontane dall'argomento trattato anche se poi si rivelano utili e convergenti in un medesimo intento.

Questo motiva il ricorso alla seguente esposizione "a stelloncini", che in casi consimili è risultata essere la più conveniente per l'intelligibilità del testo.
Si è cercato tuttavia di dare, al succedersi degli stelloncini, nei limiti del possibile, un ordine logico conseguenziale.

Quando si parla di proteine qualificandole come uno dei cosiddetti principi alimentari, occorre sempre tener presente che tutti codesti principi partecipano assieme, alla sintesi della materia cellulare: deve prevalere, cioè una visione olistica, globale, "sinfonica", in quanto tutti i nutrienti sono interdipendenti e tutti sono egualmente indispensabili. Si può essere certi che, viceversa una visione settoriale da luogo a valutazioni errate.

Del resto, tale interdipendenza è comprovata dal fatto che le proteine sono mal digerite in assenza di vitamine e che il loro metabolismo dipende da quello dei glucidi e dei lipidi, almeno in parte. Questo ci fa pensare subito al nostro cibo naturale, la frutta, dove, appunto, la coesistenza ed interdipendenza dei diversi principi alimentari da luogo ad un complesso (fitocomplesso) armonioso che rappresenta, nel contempo, l'optimum anche dal punto di vista nutrizionale.

Abbiamo prima affermato che l'uomo della foresta, dove aveva vissuto per milioni di anni, dovette passare nella savana. Ora, nella foresta era fruttariano, mentre nella savana, difettando la frutta, dovette divenire carnivoro; forse l'organismo umano, adattandosi alla alimentazione carnea, assunse le caratteristiche anatomiche e fisiologiche tipiche dei carnivori? NO, conservò le caratteristiche del fruttariano. Oggi, infatti, dopo milioni di anni di innaturale alimentazione carnea, le nostre unghie non si sono trasformate in artigli, il nostro intestino non si è accorciato, i nostri canini non si sono allungati trasformandosi in zanne, il nostro succo gastrico non ha aumentato la sua originale e debole acidità tipica dei fruttariani, il fegato non ha esaltato la sua capacità antitossica, ne è scomparsa l'istintiva attrazione esercitata sull'uomo in età infantile dalla frutta e neppure è scomparsa la altrettanto istintiva repulsione esercitata dalla carne sul bambino appena svezzato. Tutti segni, questi, che le proteine eccessive che, assieme ad altre caratteristiche negative, sono presenti nella carne, pur provocando danni enormi, non sono riuscite a modificare la struttura fisiopsichica dell'uomo: ciò dimostra che l'alimentazione carnea è così estranea agli interessi nutrizionali e biologici dell'uomo che questi non riesce ad adattarvisi, pur subendo le pesanti conseguenze di un innaturale carnivorismo per lunghissimo tempo.

I 22 aminoacidi (21 secondo alcuni, 23 secondo altri) esistenti negli alimenti si dividono, secondo la nutrizionistica ufficiale, in due categorie: quella dei 14 aminoacidi che possono essere prodotti (sintetizzati) dall'organismo umano e quella degli aminoacidi chiamati "essenziali" (8 o 10) che invece si ritiene non possano essere sintetizzati dall'organismo umano e pertanto dovrebbero essere assunti con gli alimenti. Lo scrivente si è più volte dichiarato contrario a tale teoria, dimostrando che gli "aminoacidi essenziali" sono un autentico "mito". Tuttavia, ammettendone pure la reale esistenza come la medicina ufficiale pretende, è legittimo formulare questa domanda, di fondamentale importanza: da dove trassero, i nostri progenitori arboricoli, gli aminoacidi oggi chiamati essenziali, ritenuti indispensabili alla vita, durante i milioni di anni in cui furono abitatori della foresta e sicuramente solo fruttariani?
La risposta ad una simile domanda, non può essere che una sola, dettata dalla logica elementare e dal buon senso: evidentemente solo dalla frutta, anche se, secondo il parere di alcuni paleoantropologi, venivano probabilmente aggiunte alla frutta altre parti succulente di vegetali. E poiché noi oggi continuiamo a possedere quelle stesse caratteristiche anatomiche, fisiologiche ed istintuali di quei nostri progenitori, dobbiamo dedurre che le proteine della frutta sono qualitativamente e quantitativamente sufficienti a garantire in modo ottimale la vita dell'uomo anche oggi.

Partendo da queste e da altre considerazioni il prof. Alan Walker, antropologo della John Hopkins University, è giunto alla conclusione che la frutta non è soltanto il nostro cibo più importante, ma è l'unico al quale la specie umana è biologicamente adatta. Per comprovare tale affermazione, Walker ha studiato lungamente le stilature ed i segni lasciati, nei reperti fossili, sui denti, dato che ogni tipo di cibo lascia sui denti segni particolari; scoprì, così, che "ogni dente esaminato, appartenente agli ominidi che vissero nell'arco di tempo che va da 12 milioni di anni fa, sino alla comparsa dell'Homo erectus, presenta le striature tipiche dei mangiatori di frutta, senza eccezione alcuna".

Istintivamente, quindi, i nostri progenitori mangiavano quello che la natura offriva loro, cioè la frutta matura, colorita, profumata, carnosa, dolce. Ed è facile immaginare che i nostri progenitori mangiassero la frutta spensieratamente, nulla sapendo (beati loro!) sulla quantità e sulla qualità di proteine contenute nella frutta, guidati unicamente dall'istinto... e se la passavano bene.
È chiaro che la frutta è il miglior cibo, del tutto naturale, per l'uomo e per l'intera sua vita a cominciare dal momento in cui è in grado di masticare. Il fruttarismo dell'uomo è innato, perché sbocciato dall'istinto, che ripetiamolo - è l'espressione genuina, perfetta, indiscutibile dei bisogni fisiologici nutrizionali delle nostre cellule; esso si manifesta anche prima della fine della lattazione, reso evidente dalla appetibilità e anche dalla avidità con le quali il bambino ancora lattante assume succhi di frutta fresca, che possono sostituire in certi casi anche il latte materno (succo d'uva, per esempio, come suggeriva Giuseppe Tallarico, medico illuminato, nella sua opera maggiore "La vita degli alimenti").

Abbiamo prima, accennato alla masticazione. Per masticare occorrono i denti ed i denti cominciano a nascere verso la fine della lattazione, cioè del peripdo in cui l'accrescimento del cucciolo umano è affidato alla suzione della secrezione lattea delle ghiandole mammarie della madre. Domanda: perché al termine della lattazione (e anche prima) l'istinto ci orienta decisamente verso la frutta? La risposta è semplice: esiste una strettissima correlazione tra il latte, che è il primo nostro cibo, necessariamente liquido, e la frutta, cibo che succederà al latte e che ci accompagnerà, nutrendoci, per il resto della nostra vita.
Esiste, quindi, iscritta biologicamente nell'atto di nascita della nostra struttura anatomica e della nostra fisiologia, una "continuità nutrizionale tra il latte materno e la frutta", per cui possiamo a giusto titolo considerare questi due alimenti i prototipi alimentari ancestrali dell'uomo.
Per dimostrare quanto conclusivamente è stato detto nel precedente 'stelloncino' sulla continuità nutrizionale tra il latte materno e la frutta, bisogna tenere presente quello che ripetutamente abbiamo già affermato e cioè:

1. All'uomo non si addicono cibi ad alto contenuto proteico, che risulterebbero dannosi alla sua salute;
2. l'uomo ha un fabbisogno singolarmente modesto di proteine, come è facilmente dimostrabile esaminando il latte materno.

Partiamo dall'argomento "latte materno", che funzionerà da battistrada nella dimostrazione della sua continuità nutrizionale con la frutta. E' noto che entro il 6° mese di vita extrauterina l'uomo giunge a raddoppiare il proprio peso e a triplicarlo entro il 12°, alimentandosi unicamente con il latte materno. Tutti i testi di chimica bromatologica e di fisiologia umana ci informano che il latte materno contiene 1'1,2% di proteine. Ebbene, non è proprio così, in quanto, sino a 5 giorni dopo la nascita del figlio, il latte umano contiene il 2% di proteine e questa percentuale, a partire dal 6° giorno, comincia a calare progressivamente e lentamente sino a raggiungere, dopo 3-4 settimane, 1'1,3% e, dopo 7-8 settimane, 1' 1,2%, percentuale che verrà poi mantenuta più o meno costante sino alla fine dell'allattamento.

Si constata, in sostanza, un evidente e regolare decremento del contenuto proteico del nostro unico "primo alimento" a misura che il neonato si avvia, con la comparsa progressiva dei denti, ad acquisire capacità masticatorie. Raggiunta tale capacità, ha termine quel periodo, dalla nascita allo svezzamento, che costituisce indubbiamente la fase anabolica più impegnativa, più intensa e più difficile dell'intera vita umana e che superiamo, come si è visto, con un cibo (il latte materno) contenente le modeste percentuali di proteine prima indicate.

Poiché la velocità di accrescimento è massima nei primissimi giorni di vita e poi via via decresce, è logico anche che la percentuale delle proteine contenute nel latte, e che costituiscono il necessario materiale di costruzione, debba seguire lo stesso andamento.
L'accrescimento ponderale dell'individuo continua, come si sa, anche dopo la comparsa dei denti, per terminare tra i 21 e 24 anni, ma con una velocità estremamente ridotta rispetto a quella del lattante.

È pertanto del tutto ovvio che l'alimento che subentrerà al latte materno dovrà avere una percentuale di proteine corrispondente ai reali bisogni di proteine dell'individuo non più lattante, in linea con la decrescenza, prima comprovata, di tali bisogni proteici. Riassumendo, "il fabbisogno proteico dell'uomo è massimo nel lattante, medio nell'adolescente, minimo nell'adulto": questo ci dice il grande igienistaAttilio Romano nel suo aureo lavoro "Pregiudizi ed errori in tema di alimentazione "; su questo insiste anche il prof. Alessandro Clerici nel suo Lavoro "Come si deve mangiare". Occorre osservare:

1. Senza alcun dubbio spetta al medico tedesco Lahmann il merito di avere, da pioniere illuminato, gettato, nel campo della dietetica umana, le basi scientifiche del fruttarismo, avendo scoperto e dimostrato che esso costituisce la innata prosecuzione naturale dell'alimentazione lattea.
2. Ancora prima del Lahmann, un altro "grande", Max Rubner, docente di cllnica medica all'Università di Berlino, aveva richiamato l'attenzione degli studiosi suoi contemporanei (e il Lahmann colse l'importanza di tale appello) sul fatto che "la scarsezza di proteine nel latte materno è un segno distintivo della specie umana che sconfessava i paladini dei regimi ricchi di proteine".

Questa è la regola che vige in natura: destinare ai diversi esseri viventi cibi che contengano i principi alimentari indispensabili, ma solo nella quantità necessaria, che deve essere considerata l'optimum per l'individuo. Tanto è vero che non possiamo nutrire un neonato umano, il cui latte contiene 1' 1,2% di proteine, con il latte per es. di mucca, che contiene il 3,5% di proteine senza determinati accorgimenti come la elementare diluizione, nel tentativo di evitare enteriti e altri malanni, anche gravi.
Il corpo umano, quindi, osserva proprio questa regola, cioè la cosiddetta "legge del minimo", che a nostro parere potrebbe anche (e forse "meglio") chiamarsi "legge dell'optimum" in quanto, se l'individuo ingerisce cibi contenenti dei nutrienti in quantità eccedenti il proprio fabbisogno, tale eccesso diviene per l'organismo una vera e propria scoria tossica ed il corpo cerca in tutte le maniere di sbarazzarsene, cosa che avviene in speciale modo per le proteine, come in precedenza s'è già detto.

Poiché la velocità di accrescimento dell'individuo non più lattante è decisamente inferiore a quella che aveva durante l'allattamento, è naturale ed ovvio che il contenuto proteico del primo cibo solido che l'uomo assume dopo lo svezzamento debba essere inferiore a quello del latte materno e da considerarsi l'optimum secondo la "legge del minimo". Ciò, in armonia con il reale diminuito bisogno di proteine.
Ebbene, tale cibo non può essere che la frutta, che ha, appunto, in media, un contenuto proteico adeguato ai bisogni nutrizionali normali della fase successiva allo svezzamento: cioè, mediamente inferiore a quella riscontrata nel latte materno che nel periodo terminale dell'allattamento si aggira attorno all'l,2%, come si disse.
A questo riguardo è interessante l'opinione del dottor Lovewisdom, uno dei più profondi studiosi dell'alimentazione naturale dell'uomo. Egli ci dice nel suo libro "L'adulto umano non ha bisogno di alimenti che contengono più dell'l % di proteine" "L'homme, le singe et le Paradis". Del resto, una volta completato l'accrescimento, il nostro fabbisogno di proteine serve solo alla sostituzione delle cellule perdute per usura, cioè al semplice mantenimento dell'equilibrio metabolico e a tale scopo la frutta acquosa è più che sufficiente.

Orbene, tutti i vegetali, anche i più negletti e poco noti, contengono proteine, nessuno escluso: questo è un punto fermo, che occorre tenere sempre presente.
Diversi studiosi di vegetarismo sostengono essere sempre necessario integrare la frutta con altre parti tenere e succose di vegetali, sempre crude e fresche, sia pure in pasti separati, cioè con: radici (carota, rapa, sedano-rapa, barbabietola rossa), ricettacoli floreali e base delle brattee (carciofo), foglie, gambi e germogli (lattuga, cicoria, sedano, spinacio, cavoli di vario tipo), turioni (asparago, finocchio), infiorescenze e gambi (cavolfiore, broccoli di vario tipo), bulbi (cipolla), ecc. (tutti questi vegetali sono comunemente chiamati "ortaggi" in italiano, "légumes" in francese).
Elenchiamo ora i più comuni frutti carnosi con i relativi contenuti proteici, in percentuale:



albicocca 0,8
anguria 0,9
arancia 0,9-1,3
avocado 2,6
banana 1,4
cetriolo 0,9
ciliegia 1,2
dattero 2,2
fico 1,5
fico d'India 0,8
fragola 0,95
kaki 1
lampone 1,4
limone 0,9
mandarino 1
mela 0,35
melone 1,3
mora 1
nespola 0,45
peperone 1,2
pera 0,6
pesca 0,7
pomodoro 1
prugna 0,8
uva 1
zucchina
. media: 28,75/26 =1,1%

ed ecco le percentuali di proteine presenti negli ortaggi più comuni, limitatamente a quelli che si possono utilizzare crudi:

asparago 1,8
barbabietola 1,2
barbabietola rossa 1,6
carciofo 2,4
cavolfiore 2,6
carota 1,2
cicoria 1,6
cipolla 1,4
cavolo verza 3,3
cavolo rosso 1,9
finocchio 1,9
lattuga e simili 1,3
pastinaca 1,7
porro 2
ravanello 1
sedano (foglie/gambi) 1
sedano-rapa 1,5
spinacio 2,2
media: 31,9/18 = 1,78%

Sarebbe errato, a questo punto, fare conclusivamente la media aritmetica tra il contenuto proteico medio della frutta e quello degli ortaggi per ricavare direttive alimentari pratiche. Tale calcolo darebbe 1,44 [(1,1 + 1,78)/2] e sarebbe valido se la nostra alimentazione fosse costituita per il 50% da frutta e per il 50% da ortaggi. Occorre invece dare netta preponderanza alla frutta, che è il principe dei nostri alimenti perché fu il cibo primigenio dell'uomo, quello con il quale il corpo umano si è forgiato. Dando invece in giusta misura la prevalenza alla frutta, in media la carica proteica dei cibi che dovrebbero essere utilizzati dall'uomo si attesta su 1,3% circa. Tale percentuale è largamente sufficiente, anzi superiore (sempre in media, che è quel che conta) al fabbisogno dell'uomo, specie dopo il completamento dello sviluppo, cioè dopo il 24° anno di età. Del resto, ciò è comprovato dal fatto che i fruttariani non soffrono di alcuna carenza e non hanno problemi di salute. Naturalmente i risultati dei calcoli sopra riportati non sono da prendere, "alla virgola" o al centesimo, ma vogliono avere, ed hanno, un valore orientativo generale e soprattutto vogliono offrire, ed offrono, una prova della continuità nutrizionale tra il latte materno e la frutta. A proposito dell'ottimale validità nutrizionale del fruttarismo potremmo dilungarci a riportare autorevoli opinioni, altri fatti, altre argomentazioni scientifiche per dimostrare tale validità, che garantisce all'uomo fruttariano il godimento di una piena salute fìsio-psichica: ma su tutto l'abbondante apporto probatorio che così raccoglieremmo dominerebbe la prova-base, la più incontestabile, già da noi prima evocata, ma che tuttavia torniamo ad evocare: nella foresta, patria originaria dell'uomo, questi visse in perfetta salute, sugli alberi fruttiferi, per milioni di anni, alimentandosi di frutta e - sostengono ipoteticamente alcuni studiosi, come Lovewisdom - anche di altre parti tenere di vegetali.

Molto probabilmente il lettore si chiederà che bisogno c'è di dimostrare che la carica proteica del latte materno è la stessa (o presso a poco) non solo di quella della frutta, ma anche quella dei cosiddetti ortaggi. Non si è detto che l'uomo preistorico viveva sugli alberi fruttiferi nutrendosi solo di frutta? Insomma, la sola frutta è sufficiente o no ad alimentare l'uomo? Cerchiamo di rispondere qui di seguito a tali interrogativi.
Si è già accennato in precedenza che secondo alcuni studiosi la frutta andrebbe integrata con altre parti tenere e succose di vegetali; condividiamo tale opinione, ma poiché condividiamo anche la tesi di Cornei, Tallarico, Carqué, ecc., che cioè i nostri più antichi progenitori arboricoli si nutrivano "solo" di frutta, siamo tenuti a spiegare questa nostra apparente contraddizione.

Anzitutto, la frutta che i primi uomini mangiavano da arboricoli nella foresta intertropicale era, in quanto a capacità nutrizionale, enormemente superiore a quella di oggi esistente. La frutta d'oggi è infatti il risultato di migliaia di anni di frutticoltura che, dovendo commerciare con i prodotti della terra, lo fa utilizzando dei criteri di produzione della frutta basati su:

· rendimento della pianta
· colore
· taglia
· gusto
· struttura
· conservabilità
· facilità di raccolta
· sicurezza e continuo incremento del profitto.

Insomma la produzione odierna di frutta è profondamente artificiosa, mentre la frutta che nutriva l'uomo preistorico era il prodotto del libero giuoco delle forze vitali dell'aria, del suolo, delle arcane forze della natura, era figlia della luce, scrigno di energia solare, viva e vitalizzante, non cresciuta sotto lo stimolo anormale dei concimi chimici, dei diserbanti, degli anticrittogamici, i cui residui rendono oggi talora la frutta finanche pericolosa per la nostra salute. C'è un abisso, dunque, tra la frutta che nutrì i primi uomini e la frutta d'oggi. L'uomo odierno a dire il vero comincia a rendersi conto che la frutta nutre poco e male e ha perduto i sapori della frutta "antica" di cui si sente la mancanza. Ecco quindi sorgere iniziative tipo "archeologia dell'albero da frutta", "banche del seme", e soprattutto coltivazioni biologiche. Un esempio: la pera cosiddetta "spina" è la "pera antica", bitorzoluta, contorta, decisamente brutta se guardala con l'occhio dell'esteta tradizionalista per il quale la pera, quella addomesticata, deve avere la forma classica e basta. In Italia di alberi di pere "spina" ne restano ormai pochi, destinati a sparire perché la gente vuole pere "belle" di parvenza e non nodose e brutte, anche se poi chi le assaggia rimane estasiato per il loro sapore, ormai non più riscontrabile nelle pere "moderne", frutto di cultivar, incroci, innesti, manipolazioni genetiche, fitonnoni, ecc.. Lo stesso discorso vale per molte varietà di mele in via di scomparsa, come le mele "zitelle", per esempio.

Deciso scadimento quindi, del valore nutrizionale della frutta moderna nei riguardi della frutta "antica" e quando diciamo "antica" ci riferiamo appena ad un secolo fa o giù di lì; ma a misura che andiamo a ritroso nel tempo la differenza si fa, ovviamente, sempre più marcata, tanto che riesce difficile solo immaginare quale potenza nutrizionale riservasse la frutta che servì alla nutrizione e alla crescita delle primissime generazioni dell'uomo arboricolo e fruttariano.
Abbiamo detto sopra che la gente ha cominciato a capire che la frutta odierna, nonostante che continuiamo ad essere da essa attratti, non solo nutre poco ma nutre anche male. Qui appresso spieghiamo perché.

Per effetto dei trattamenti e delle selezioni che l'uomo, come abbiamo prima accennato, applica in agricoltura e particolarmente in frutticoltura, la frutta prodotta è caratterizzata soprattutto da un eccessivo tenore di zuccheri. Ora, è vero che il nostro organismo funziona proprio grazie allo zucchero, ma è anche vero che lo zucchero, come qualsiasi altro alimento, per essere assimilato, deve trovarsi associato con vitamine, specialmente quelle del gruppo B, minerali, aminoacidi ed altri elementi nutritivi, con i quali costituisce un fitocomplesso equilibrato ed armonico.

L'eccesso di zucchero oggi riscontrabile nella frutta crea invece squilibrio e disarmonia, per cui l'organismo non è in grado di utilizzare tutto lo zucchero presente nella frutta: ecco perché si disse che la frutta d'oggigiorno fa correre il rischio di nutrire "anche male". Come ovviare a questo squilibrio? Includendo nella nostra dieta una consistente quantità di alimenti non zuccherati, in particolare verdure crude ed ortaggi vari, che forniscono in abbondanza vitamine, minerali ed aminoacidi essenziali, indispensabili per ottenere una nutrizione equilibrata.

L'aggiungere verdure ed ortaggi alla frutta, anche se questa rimarrà quantitativamente preponderante, è, quindi, un "corrrettivo"? Certamente, è un utile correttivo. Naturalmente, sia la frutta che le verdure e gli ortaggi, per conservare la loro efficacia nutrizionale, devono essere consumati crudi ed è anche buona norma utilizzarli in pasti separati. Ma aggiungiamo subito che si tratta di un correttivo "temporaneo" e qui di seguito spieghiamo perché diciamo che è temporaneo.
Abbiamo visto - riassumiamo - che la frutta odierna, rispetto alla frutta che nutrì l'uomo preistorico, difetta di potere nutrizionale (e si cerca nell'attuale processo, in atto, di riavvicinamento alla natura, di coltivarla biologicamente, come rimedio primo), ma eccede, invece, in contenuto di zuccheri (glucosio/fruttosio) (e si cerca di ovviarvi proponendo di accompagnarne il consumo con ortaggi, che potranno, così, partecipare all'approvvigionamento di proteine). Poiché, come è evidente, si tratta di una situazione, quella attuale, "in movimento", a misura che progredirà l'agricoltura biologica, migliorerà anche la qualità della frutta attuale, i cui lati negativi (eccessi e difetti sopraccitati) si attenueranno gradualmente e alla fine scompariranno.

Ovviamente, quando la frutta riacquisterà totalmente le caratteristiche che permisero il pieno affermarsi dell'uomo preistorico arboricolo e fruttariano, cesserà il bisogno o la semplice convenienza di ricorrere agli ortaggi e l'uomo tornerà ad essere fruttariano al 100% e sarà quello un grande giorno, che riteniamo non troppo lontano, dato l'incoraggiante crescente interesse per questo così importante problema.

4. L'uomo non discende dalle scimmie


È stato osservato, circa l'aggiunta di verdure e ortaggi alla frutta, che le tre grandi scimmie antropomorfe (Pongidi) orango, scimpanzé e gorilla , ritenute comunemente, sui piani anatomico, fisiologico, ematologico, ecc., i più vicini nostri parenti, mangiano, oltre che frutta, anche foglie, gemme, scorze, rametti, radici, sedano selvatico, bambù ed altre erbe. Soprattutto si sottolinea che questo comportamento alimentare si riscontra nel gorilla, che invece da molti fruttariani veniva portato come esempio di animale fruttariano al 100%, come una sorta di archetipo fruttariano: si ritiene, anzi, da alcuni che la frutta partecipi alla dieta del gorilla in minor misura degli altri vegetali sopra citati. Sono invece tutti concordi nel rilevare, nella dieta dei Pongidi, l'assenza di noci (cioè, precisiamo noi, di semi), particolare che sottolineiamo come importante, per quanto appresso si dirà a proposito dei semi e della loro carica proteica.
Quanto sopra viene citato da alcuni per cercare di avvalorare, su un preteso piano scientifico zoologico/evoluzionistico, la necessità dell'aggiunta di verdure ed ortaggi alla frutta anche da parte dell'uomo, cioè, in pratica, per negare la sufficienza nutrizionale di una dieta fruttariana al 100%.
Sennonché coloro che tanto affermano dicono cose scientificamente inesatte e le loro conclusioni sono errate, difettando, tra l'altro, di validi aggiornamenti culturali. Infatti, coloro che "fotocopiando" i comportamenti dei Pongidi (ammesso, ma non concesso che siano quelli che vengono descritti) pretendono di trasferirli all'uomo pari pari, come per un imperativo biologico automatico, sembra che siano rimasti alla famosa e semplicistica (e, potremmo anche dire, infantile) interpretazione di quanto Charles Darwin, nel 1871, scrisse nel suo "The Descent of Man". Si disse, allora, che Darwin sosteneva che "l'uomo discendeva dalla scimmia". Come invece ogni persona con un minimo di cultura biologico/naturalistica sa, Darwin non affermava che l'uomo discendeva da una scimmia antropomorfa.

La verità è, invece, che le grandi scimmie antropomorfe e l'uomo sono organismi contemporanei sì, ma che discenderebbero, però, da un primate, antenato comune, esistito milioni di anni fa e attualmente estinto. Da quello si sarebbero poi originate due distinte linee evolutive, una delle quali avrebbe portato alle attuali scimmie antropomorfe, mentre l'altra avrebbe avuto come termine ultimo l'uomo. Inoltre - ci dice Ralph Cinque, D.C., direttore dell'Hygeia Health Retreat diYorktown (Texas), nonostante le sue critiche al fruttarismo umano al 100% - "l'uomo non è una scimmia leggermente migliorata, le differenze con gli esseri umani sono considerevoli ed è un errore fare dei paralleli fra i due" (dalla rivista Vie et Action n. 157).

Gli fa eco T.C. Fry, direttore del periodico Healthful Living, il quale sostiene che consigliare di mangiare verdure perché contengono elementi nutritivi che non si troverebbero nella frutta è un nonsenso perché non c'è nelle verdure niente che non sia contenuto, in quantità sufficiente, anche nella frutta.
Un'obiezione di natura biochimica avversa all'uso delle verdure è questa: mentre gli erbivori sono provvisti dell'enzima "cellulasi" che consente di convertire la cellulosa contenuta nelle foglie in glucosio, l'uomo è sprovvisto di tale enzima e pertanto non ricava alcuna utilità, almeno per quel che riguarda l'approvvigionamento di glucidi, dal mangiare verdure. Tutto quello che, oltre alla cellulosa, si trova nella foglia e che possa avere un qualche valore nutritivo lo si trova anche nella frutta. Poiché il nostro corpo ha bisogno, per produrre energia, di glucosio, le foglie verdi non sono in grado di dargliene per l'assenza di tale enzima. In definitiva, le verdure possono essere considerate naturali per gli erbivori, ma certamente non per i fruttariani, come l'uomo; inoltre non ci procurano alcuna caloria ed è più l'energia che spendiamo per la loro digestione che quella che se ne ricava.

Si dice che nelle verdure c'è la clorofilla, alla quale si attribuiscono virtù particolari nella nutrizione dell'uomo, ma la clorofilla è una proteina come le altre. Le vitamine, i sali minerali, le proteine ed alcuni acidi grassi presenti nelle foglie si ritrovano anche nella frutta, inoltre nella frutta si trova l'acqua "fisiologica" più o meno nella stessa percentuale con la quale è presente nel corpo umano; non così nelle foglie e meno ancora nei semi.
Fry sposta poi la sua attenzione sul fatto che la maggior parte delle foglie, tra cui quelle che noi mangiamo, sono provviste di veleni protettori della pianta. Tra le foglie più tossiche che noi mangiamo sono da annoverare: il sedano, le bietole, il ravizzone (colza), il rabarbaro, il prezzemolo, il basilico, gli spinaci, la cicoria, la menta, il tarassaco, l'origano, ecc.

Particolarmente tossiche e persino mortali sono le foglie del pomodoro, della patata, della melanzana, del peperone, dell'albicocco, ecc. Finanche le foglie della lattuga pare che siano, sebbene modestamente, provviste di sostanze tossiche. La presenza di questi veleni protettori nelle foglie e dei conseguenti rischi tossicologici che si corrono nel mangiarle sono autorevolmente confermati dagli studi specifici fatti dal prof. Bruce Ames, dell'Università di Berkeley, USA. Per contro, la maggior parte dei frutti utilizzati dall'uomo a scopo alimentare sono invece privi di sostanze tossiche.
Anche le notizie relative alla presenza di fogliame ed altre parti di vegetali nella normale dieta delle grandi scimmie antropomorfe, della quale prima si è parlato, sono false. La prima osservazione che si può fare è che noi non possiamo essere condizionati dalla loro condizione attuale, più che non esserlo dagli Esquimesi, dice ironicamente Fry.
Si è detto prima che le grandi scimmie antropomorfe non mangiano semi, comunemente indicati come "noci". Ora, per quanto riguarda l'uomo, possiamo dire che le noci non solo non sono necessarie, ma addirittura sono dannose, contenendo un fattore antinutrizionale, un antienzima, che ostacola la loro digestione da parte di altri enzimi. È chiaro che i semi hanno lo scopo di dare vita a un nuovo essere vivente e non sono certo destinati ad essere distrutti dall'azione trituratrice dei denti dell'uomo prima che dai suoi succhi digestivi. La Natura non ha prodotto i semi per nutrire l'uomo, per altro sono troppo proteici e possono, a causa proprio di tale eccesso di proteine, provocare danni alla salute umana. Infine, contenendo pochissima acqua, sono inadatti anche per questo a costituire un cibo adeguato alle esigenze umane.

Per l'uomo che si trovasse in uno stato di natura, senza apparecchi per cucinare, disponendo solo del suo corpo, senza attrezzi di nessun tipo, la frutta è la sola cosa che prenderebbe, rifiutando erbe, cereali, radici e tuberi; naturalmente rifiuterebbe, essendone incapace di catturare, uccidere e mangiare altri animali oppure di berne il latte.
La frutta, in sostanza, costituisce un alimento naturale, che, comparso quando comparve, l'uomo, fu chiaramente destinata dalla Natura, simbioticamente, a nutrire in modo ottimale l'uomo.

Quando si afferma che la frutta, utilizzata come unico alimento, provoca un sovraccarico di zuccheri, si trascura il fatto che a tale eccesso contribuisce (e non potrebbe essere altrimenti) anche l'alimento amidaceo che ingeriamo (pane, pasta, riso, polenta, ecc.) e che ha, come destino finale della sua digestione, appunto, monosaccaridi (zuccheri semplici); questo eccesso di amidi nella propria dieta è comunemente indicato con il termine "amidonismo".
Riprendiamo il discorso sulle grandi scimmie antropomorfe per esaminare più approfonditamente la loro dieta. Ebbene, si è potuto accertare che l'orango può restare fino a tre mesi di seguito sugli alberi, senza mai scendere al suolo e nutrendosi pertanto solo della frutta prodotta dagli alberi. I gorilla vengono giustamente definiti da Fry "macchine che vanno a foraggio e macchine per defecare" in quanto la loro giornata è mediamente costituita da 14 ore dedicate a riposare e defecare e 10 ore circa dedicate alla ricerca ed ingestione di cibo. George B. Schaller ha fatto notare che essi mangiavano foraggio in una quantità giornaliera pari al 10% del loro peso, soprattutto sedano selvatico. Ne si capisce come possano elaborare tutti questi vegetali se si tiene presente che i gorilla, come del resto l'uomo (e ne abbiamo parlato) non secernono la cellulasi, che è l'enzima necessario alla trasformazione della cellulosa in uno zucchero semplice. Evidentemente questa grossa massa solo parzialmente digerita di vegetali stimola egregiamente la peristalsi provocando la pressoché continua defecazione. Ma Schaller ha approfondito la cosa ed ha potuto così appurare che, quando arrivava la stagione di certa frutta, i gorilla non toccavano più il foraggio, ma si alimentavano unicamente di quella frutta, fin che ce n'era.

È ancora Schaller, primatologo di grande fama, che ci riferisce di un esperimento fatto allo zoo di San Diego, dove i gorilla, se veniva loro somministrata frutta in abbondanza, non mangiavano più il foraggio; insomma il gorilla, messo in condizioni di scegliere tra foraggio e frutta, non manifesta dubbi e sceglie la frutta. Che cosa significa ciò? Significa che il suo cibo naturale, non è il foraggio, ma la frutta. Certo, anziché patire la fame si mangia qualunque cosa. Così, del resto, fecero i nostri progenitori quando, passando dalla foresta, e dall'alimentazione fruttariana che questo bioma consentiva, nella savana, dove non esistono alberi da frutta, per non soccombere divennero cerealivori e mangiatori di carne, con l'aiuto del fuoco.
Della terza scimmia antropomorfa cosa c'è da dire? Dello scimpanzé si dice che mangia molte cose e forse ciò è vero in condizioni di cattività, situazione innaturale, che determina sconvolgimenti comportamentali notevoli, che possono influire anche sugli orientamenti nutrizionali.
È bene, quindi, dare validità alle testimonianze di ricercatori o studiosi che ne hanno osservato attentamente la vita, quando questa viene trascorsa in libertà; per lo scimpanzé nessuna persona può saperne di più di J. Goodall, etologa primatologa che ha trascorso trent'anni tra loro, la quale ha constatato che se gli scimpanzé dispongono di banane in abbondanza, mangiano solo questi frutti e niente altro (sino a 40-50 la volta).
Come si vede, i comportamenti alimentari delle 3 grandi scimmie antropomorfe, che molti ritenevano accreditassero la insufficienza di una alimentazione fruttariana al 100% (e quindi il ricorso obbligato ad altre parti più o meno tenere di vegetali), in realtà, da quanto si è detto in quest'ultima parte del presente stelloncino, documentano proprio il contrario e cioè che queste scimmie, quando sono libere di scegliere il loro nutrimento naturale, si nutrono da animali fruttariani al 100%. E non c'è bisogno di estrapolare questo comprovato fruttarismo dei Pongidi applicandolo all'uomo perché per quest'ultimo fa fede l'istinto dei bambini, quando non è ancora pervertito.

Dicemmo, nel 5° stelloncino di questo paragrafo che all'uomo non si addicono cibi ad alto contenuto proteico, come, per esempio, derivati del latte, semi, uova, legumi, ecc., per non parlare della carne. Peraltro, molte di queste proteine andrebbero sprecate in quanto l'organismo espelle, indigerite, con le feci una buona parte di queste proteine (quelle che non riesce ad espellere in questa maniera, se sono ancora eccessive, cercherà di deaminarle trasformandole in composti ternari, cioè in zuccheri e grassi e poi ancora, se neanche ciò basta, se ne sbarazzerà mediante un lavoro straordinario del fegato e dei reni).
Dobbiamo ora tornare a parlare di questi cibi ad alto contenuto proteico, intanto per ricordare, se ce ne fosse ancora bisogno, che la frutta è da escludere dal novero dei cibi ad altro contenuto proteico e che anche questo fatto contribuisce a renderla atta all'alimentazione umana. Ma se ora torniamo a parlare di questo argomento è per evidenziare un altro fatto di notevole importanza e cioè una scoperta del già citato prof. Max Rubner, dell'Università di Berlino, il quale la rese pubblica a Lipsia, in un Convegno scientifico, con una memoria riguardante i risultati delle sue ricerche sulle proteine (che poi lui espose nel suo libro "Volksemahrungsfragen", in italiano: "Questioni relative all'alimentazione della popolazione"). Il succo di questa scoperta è che il grado di utilizzazione delle proteine di un determinato alimento è tanto più grande quanto più modesta è la percentuale di proteine che quell'alimento contiene.
Questo studioso dimostrò, per esempio, che un chilo di patate costituisce un cibo relativamente assai più nutriente di un etto di carne o di formaggio perché l'organismo umano riesce ad utilizzare dalle patate una quantità di proteine sette volte maggiore di quelle che utilizzerebbe mangiando carne o formaggio, in quanto le proteine di un etto di carne o di formaggio sono concentrate, mentre la stessa quantità di proteine è nelle patate diffusa in una massa di dieci etti.
La stessa cosa vale per le mele, che sono molto nutrienti in quanto le loro relativamente scarse proteine (0,35%) sono utilizzate al 100%. Come è facile capire, questa scoperta di Rubner costituisce una ennesima e valida motivazione scientifica del fruttarismo.

4. L'ANTICONFORMISMO DELL'UOMO FRUTTARIANO

La marcia di ritorno dell'uomo al suo originario fruttarismo non è un disegno utopico, non è un sogno, è una realtà. Avendo dimostrato nei paragrafi precedenti che la carica proteica della frutta rappresenta l'optimum per l'approvvigionamento azotato dell'uomo e che, per una serie di altri motivi tratti dalle più diverse discipline, il fruttarismo, è l'ambita meta finale, in un certo senso "obbligata", di tutta l'umanità, abbiamo con ciò contribuito a dare certezza scientifica alla radice della tematica fruttariana.

Orbene, sul piano pratico bisogna fare il possibile per avvicinarci gradualmente, con pazienza e perseveranza, a tale meta: saremo incoraggiati a farlo dalla constatazione che la nostra salute fisica, la nostra efficienza intellettuale migliorano in maniera evidente a misura che si avanza verso il fruttarismo al 100%. Una volta acquisita la consapevolezza di essere sulla strada giusta, razionalizzeremo sempre più la nostra alimentazione, gradino dopo gradino. Nel frattempo giova informarsi sulle esperienze fruttariane di chi è più avanti di noi in modo da prendere coscienza del livello al quale si è giunti nell'opera di bonifica della propria vita. Se tale livello risultasse ancora modesto o anche modestissimo, non ci si deve per questo scoraggiare, ma conviene utilizzare il livello già raggiunto come una pedana di lancio onde potere poi balzare al livello superiore e così via, gradatamente, ma senza fermarsi, senza mai rinunciare a migliorare. Ognuno di noi è, quindi, in marcia per diventare fruttariano al 100%, a pieno titolo!!!

Allora: pensiamo, leggiamo, ascoltiamo, indaghiamo, sperimentiamo! Avanziamo!

In quanto all'anticonformismo dei fruttariani già tali o in marcia per divenirlo, chiaramente espresso dal titolo di questo paragrafo, dobbiamo anzitutto ricordare che la presente relazione ha, tutta, una carica anticonformista. Del resto, non solo i fruttariani, ma tutti i vegetariani in genere sono anticonformisti. Nessun dubbio che siamo ancora una minoranza, nessun dubbio che siamo contro corrente, contro i principi dietetici e comportamentali seguiti acriticamente e supinamente dalla maggioranza.

Dobbiamo però essere lieti di far parte di questa minoranza, che ci consente di sentirci (certo non in senso elitario) culturalmente avvantaggiati e tuttavia maggiormente impegnati, nei rapporti con gli altri, a praticare la benevolenza, la comprensione e l'umiltà tipiche di coloro che più sanno.
Il conformismo culturale oggi imperante, che noi decisamente rigettiamo, conduce in realtà ad una acritica accettazione delle opinioni dei satrapi della cultura accademica, soprattutto di quella medica. Certamente, tenendo conto di tale andazzo, molti passi di questa relazione appariranno non solo spregiudicati, ma addirittura irriverenti nei riguardi sia di persone o categorie di persone, sia di principi o luoghi comuni, dai quali ci discostiamo più o meno vistosamente. Ma questa nostra eterodossia vuole essere solo una critica costruttiva, anche quando ha le parvenze di essere demolitrice; pensiamo, in sostanza di agire in difesa della libera ricerca della Verità, ritenendo che questo e non altro debba essere il fine di ogni indagine scientifica, quando è condotta con idee chiare ed onestà di intenti.

Del resto, è ben noto che molte altisonanti affermazioni, anche di matrice scientifica, si sono poi palesate solo dei pregiudizi o addirittura dei miti e pertanto sono clamorosamente cadute; e si può star certi che altre sono destinate a cadere nel futuro, a misura che avanza nell'uomo la ragione ed il ricorso liberatorio al semplice buon senso e/o alla logica elementare deduttiva. È noto che i pregiudizi ed i miti sono duri a morire e quindi non c'è da meravigliarsi se anche quelli relativi alle proteine siano ancora così diffusi.

Il fatto che alcune di queste false credenze durino molto non significa affatto che esse abbiano sicuramente un fondamento reale. Un esempio illuminante è quello che qui di seguito citiamo.
Nel lontano 1914 un grande scienziato, Robert Banary, vinse il premio Nobel per la fisiologia e la medicina per merito di una sua teoria "sul funzionamento dell'orecchio interno e sui dispositivi che influenzano l'equilibrio del corpo umano". Tutto il mondo scientifico dell'epoca, fece propria tale teoria e tutti i testi scolastici, dai licei alle Università, data l'autorità del Barany, la riportarono qualificandola come una conoscenza scientifica ormai definitivamente acquisita e indiscutibile. Sennonché... sennonché, nel 1983, dopo circa 70 anni di supino conformismo scientifico, si scoprì, durante il volo di prova dello Space Shuttle, che quella teoria era totalmente infondata e immediatamente tutti tacquero, di colpo, e da allora nessuno ne ha più parlato. Ebbene, quando tale teoria fu formulata, nessuno si era preso la briga di indagare sulla sua serietà e fondatezza; tanto può (ecco un esempio) la accettazione acritica dell'autoritarismo culturale!
Talvolta però, può accadere che qualche "scoperta" o "invenzione" viene sottoposta a verifica e crolla miseramente. Riportiamo ora un altro caso, più recente di quello prima accennato.

Qualche anno fa tutti i giornali ed i settimanali riportarono la notizia della "memoria dell'acqua", notizia che mise in subbuglio tutto il mondo scientifico e fu definita (molti di voi lo ricorderanno) "la scoperta del secolo". Addirittura ci fu chi scrisse che da tale scoperta "si dovevano attendere spettacolari sconvolgimenti in tutti i campi delle conoscenze umane". Di che cosa si trattava? Ecco: la famosa rivista scientifica inglese Nature aveva dato la notizia che un notissimo medico francese, il ricercatore Jacques Benveniste, aveva scoperto che i globuli bianchi del sangue umano, in presenza di anticorpi in soluzioni sempre più diluite, conservavano la capacità di reagire anche quando la soluzione era diluita a tal punto da non contenere più alcun anticorpo. Ergo, l'acqua conserva la memoria. Una tale "scoperta" sconvolgeva ovviamente le leggi naturali, ma - guarda caso! - accreditava fortemente le basi della omeopatia le cui fortune, fondate, in sintesi, sull'efficacia di soluzioni estremamente diluite, stava perdendo credibilità in tutto il mondo. Sennonché, in seguito ad indagini e verifiche, si riuscì a dimostrare che questo famoso dott. Benveniste aveva utilizzato fraudolentemente, nei suoi esperimenti, campioni contaminati che, naturalmente, continuavano a provocare la reazione dei globuli bianchi. Dopo tale smascheramento, il Benveniste, che in un primo tempo era già stato qualificato "un grande scienziato" in tutto il mondo scientifico, divenne di colpo "uno scienziato di scarto" e la sua scoperta, sui giornali italiani, fu definita "un falso clamoroso" (giornali del 28/7/1988).
Potremmo continuare a portare esempi di imposture, miti, pregiudizi e falsità, ma per questioni di spazio ci limitiamo ai due casi prima citati (Ci preme sottolineare che il prof. Armando D'Elia, nei suoi lavori, ha più volte brillantemente contribuito a "smascherare" altri miti: quello delle proteine cosiddette "nobili" e quello degli aminoacidi "essenziali", n.d.r.).

Si può trarre, concludendo, un chiaro monito, rivolto soprattutto ai fruttariani, che costituiscono la "brigata di punta" di tutto il movimento vegetariano: non bisogna mai aver paura di andare contro corrente, non bisogna mai aver paura di difendere a viso aperto il fruttarismo e le sue motivazioni scientifiche ed etiche: il tempo è galantuomo. La schiera, oggi ancora così fitta, di persone avverse al fruttarismo, è destinata ad assottigliarsi rapidamente; in genere si tratta di disinformati, da aggiornare con amore e pazienza. La Verità si imporrà inevitabilmente.

Per mettere in crisi chi è contrario al fruttarismo occorre prima di ogni cosa fargli capire che bisogna resistere alla tentazione di conformarsi supinamente alle opinioni dominanti, che spesso costituiscono la maschera perbenista di grossi interessi di natura economica ....

Roma 1992

giovedì 20 maggio 2010

Dei Batteri, della B12 e del Cianuro..

La flora intestinale e la sintesi delle vitamine endogene
(tratto da PubMed.gov)

E' stato ben provato che la flora batterica del rumine è per i ruminanti una ricca fonte di vitamine e che la flora batterica fecale è una fonte maggiore di vitamine per i roditori coprofagi. E' stato anche riscontrato che la flora batterica intestinale è una fonte significativa di un certo gruppo di vitamine, particolarmente quelle del gruppo B e la vitamina K.



Flora Batterica
(tratto da Wikipedia Inglese)

La flora batterica consiste di microorganismi che vivono nel tratto digestivo degli animali, ed è il più grande serbatoio della flora umana. Il corpo umano, che consiste all'incirca di 100 trilioni di cellule, trasporta negli intestini circa dieci volte tanto tali microorganismi. Le attività metaboliche svolte da questi batteri sembrano quelle di un organo, portando alcune persone a comparare i batteri intestinali come ad un organo "dimenticato". Si stima che questi batteri intestinali abbiano circa 100 volte tanto i geni in aggregato di quanti ce ne siano nel genoma umano.
I batteri nel colon costituiscono la maggior parte della flora ed il 60% della massa secca delle feci. Nell'intestino vivono circa dalle 300 alle 1000 specie diverse, stimate intorno alle 500.
E' probabile che il 99% dei batteri appartenga a 30 o 40 specie. I funghi ed i protozoi costituiscono anch'essi parte della flora intestinale, ma ancora poco si conosce delle loro attività.
Gli studi suggeriscono che la relazione tra la flora intestinale e gli umani non sia solamente commensale (una co-esistenza non dannosa), ma che invece sia una mutua relazione simbiotica benefica. Sebbene le persone possano vivere senza la flora intestinale, i microorganismi svolgono molte funzioni utili, come per esempio la fermentazione di substrati di energia inutilizzati, allenano il sistema immunitario, impediscono la crescita di batteri nocivi e patogeni, regolano lo sviluppo del budello, producono vitamine per il portatore (come la biotina e la vitamina K), e producono ormoni che dirigono l'ospite ad accumulare grassi. In certe condizioni, alcune specie sono in grado di causare malattie provocando infezioni oppure di aumentare il rischio di cancro nel portatore.
Più del 99% dei batteri nell'intestino sono anaerobici, ma nell'intestino cieco, i batteri aerobici raggiungono grandi densità.


Diversamente dalla maggior parte delle sostanze nutritive, l'assorbimento della vitamina B12 in realtà comincia dalla bocca dove piccole quantità di B12 cristallina slegata possono essere assorbite attraverso la membrana mucosa.

(tratto da Wikipedia Inglese )





ATTENZIONE! Questa frase che ho riportato poco più sopra si trova nella pagina americana dedicata alla B12 alla voce : HUMAN ABSORPTION AND DISTRIBUTION (assorbimento umano e distribuzione) , ed è completamente INESISTENTE nella relativa pagina italiana di Wikipedia, (peraltro dove si parla della sua versione sintetica mentre quella in lingua americana fa riferimento alla sua fonte naturale) dove invece si lascia ampiamente intendere che questa vitamina allo stato naturale si trovi esclusivamente in prodotti di origine animale oppure in forma sintetica grazie all'utilizzo di integratori.
Come se non bastasse, la pagina di wikipedia in italiano circa la B12 non solo fa disinformazione, ma anche terrorismo consigliando alle donne vegetariane incinte ed in fase di allattamento, di ricorrere a varianti sintetiche di tale vitamina. Una pubblicità occulta.

Di seguito, un interessante articolo sulla B12 e sulla Cianocobalamina, a cura della D.ssa Vetrano, Igienista.

Ripensare e Chiarire la questione della B12
D.ssaVivian V. Vetrano

Non esiste alcuna carenza di B12, neanche negli individui 100% crudisti vegan. Non hanno bisogno di mangiare cibi sporchi, prodotti animali o prendere pillole per assicurarsi i coenzimi della B12.
I batteri nel tratto intestinale lo fanno per noi, e le forme metabolicamente disponibili e necessarie di coenzima B12 sono contenute nei cibi vegetali non raffinati, freschi e naturali, specialmente nelle noci e nei semi. Il vero problema della cosidetta carenza di B12 è la mancata digestione ed assorbimento dei cibi invece che della vitamina stessa.

I coenzimi della vitamina B12 si trovano nelle noci e anche nei semi come pure in molte verdure a foglia verde, frutta, ortaggi. Se mangiassimo 100 grammi di fagioli verdi, barbabietole, carote e piselli e la nostra digestione ed assorbimento fossero normali, avremmo così ottenuto il bisogno giornaliero minimo di coenzimi B12. Dal libro "The Complete Book of Vitamins", pagina 236 di Rodale, prendiamo atto del seguente chiarimento:" Come sapete, il complesso B delle vitamine viene chiamato "complesso" perchè, invece di essere una vitamina sola, si è scoperto fosse un vasto numero di vitamine, che si trova generalmente negli stessi cibi".
Una fonte poco pubblicizzata di coenzimi B12 attivi proviene dai batteri della bocca, intorno ai denti, nella nasofaringe, intorno alle tonsille e nelle cripte tonsillari, nelle pieghe alla base della lingua, e nell'albero bronchiale superiore. Questa fonte da sola fornirà sufficienti quantità di coenzimi B12 per i bisogni minimi di tutti i vegetariani, considerando che il loro bisogno di questa vitamina non è maggiore a quelle delle altre persone che seguono una dieta convenzionale.
Ho studiato molto attentamente la questione della B12 ed ho imparato che i biochimici, gli scienziati nutraceutici, e molti scrittori scambiano spesso il termine Vitamina B12 per cianocobalamina, che il corpo non può usare ma che si trova in tutti gli integratori di Vitamina B12. Quando parlano di Vitamina B12, si stanno riferendo alla Vitamina B12 semisintetica (cianocobalamina) che inizialmente fu contaminata con il cianuro velenoso durante la sua estrazione chimica dai tessuti animali. Durante il processo di estrazione vengono usate colonne di carbone ed il carbone si combina con l'azoto medio formando la cianocobalamina velenosa, che gli scienziati continuano a chiamare Vitamina B12.
Il metodo usato in origine per estrarre la Vitamina B12 dalle sue fonti includeva il riscaldamento del medio in un acido debole, l'aggiunta di uno ione di cianuro, ed esposizione alla luce. In questo processo i coenzimi venivano convertiti in cianocobalamina, ma ciò venne ignorato.(Review of Physiological Chemistry, Harper, Harold A., Lange Medical Publications, New York, 1977, page l81. Riferimenti anche in Cobalamin: Biochemistry and Pathophysiology, Wiley. N. and F. Sicuteri, New York, 1972.)
Inoltre, nella produzione di integratori di questa vitamina, il cianuro viene aggiunto al medio perchè il carbone e l'azoto sono necessari per formare grandi molecole così come si trovano nelle vitamine; ed INOLTRE hanno bisogno di estrarre la B12 dalla fermentazione dei liquori e dagli omogenati di fegato. Il carbone è necessario in grandi quantità quando si producono queste vitamine o qualsiasi altra vitamina o sostanza che mimi la vitamina naturale che normalmente contiene molto carbone.
I DUE COENZIMI VITAMINA B12 CONOSCIUTI COME ESSERE METABOLICAMENTE ATTIVI NEI TESSUTI DEI MAMMIFERI SONO 5'deoxyadenosilcobalamina e metilcobalamina (metil- B12). Quando viene estratta alla luce, questi due coenzimi subiscono la fotolisi e vengono distrutti. La B12 naturale si trova solamente nelle piante e negli animali, e questa è l'unica forma che può esser chiamata "coenzima B12". Se un animale o un individuo assume cianocobalamina il corpo rimuove il cianuro perchè non viene usato come coenzima ed è tossico. Allora il cobalto della precedente cianocobalamina può combinarsi con altre sostanze che non sono tossiche e formare davvero i coenzimi Vitamina B12 che sono usabili dal corpo. Queste coenzimi Vitamina B12 normalmente esistenti sono labili e si rompono molto facilmente a meno che non vivano in un tessuto vivente. Il potassio nel corpo può reagire con il cianuro che si trova nella cianocobalamina - la "Vitamina B12" - e formare cianuro di potassio tossico. Il cianuro di potassio è un composto tossico usato come fumigante. Questo è il motivo per cui il corpo si libera delle iniezioni di "Vitamina B12" così rapidamente. Entro 24 ore la maggior parte (il 90%) degli integratori di integratori di cianocobalamina vengono eliminati. I nomi di cobalamine formate dal corpo o in un laboratorio sono: 1. idroxocobalamina se si combia con ione di ione ossidrilico (OH) e 2, aquocobalamina, quando si combina con acqua. La cobalamina si combina anche con anioni come per esempio nitriti una forma di azoto, cloruro, e zolfo. Questi non sono disponibili per il corpo. I due coenzimi attivi che possono essere formati nel corpo dopo aver rimosso il cianuro sono 5'deoxydenosicobalamina, o adenosilcobalamina e metilcobalamina. Il problema è che il cianuro è tossico e rende le persone ancora più malate di quello che erano prima di prendere gli integratori.
La cianocobalamina è in ogni integratore di Vitamina B12 conosciuto perchè è stabile e la sua produzione costa meno. Ma non è disponibile per il corpo. Se il corpo ha energia sufficiente può scaricare il cianuro e beneficiare dell'altro componente utile. Ciò che le persone provano dopo aver preso gli integratori di cianocobalamina è una stimolazione. L'effetto tossico del cianuro scatena un flusso di energia perchè il corpo lavora duramente per espellere il veleno, e questo fa credere alle persone che l'integratore ha "funzionato" per guarirli. Nel frattempo, se i loro esami del sangue mostrano un aumento di B12, ciò riflette la quantità di CIANOCOBALAMINA nel flusso sanguigno. Le forme disponibili sono trasportate nelle cellule e non possono essere scoperte testando il sangue come è pratica comune. Gli esami del sangue sono spesso inaccurati e, come già detto in precedenza, nel caso degli integratori di cianocobalamina e delle iniezioni di B12, circa il 90% di questi viene eliminato dal corpo in 24 ore.sono sbagliati. Non stanno prendendo coenzimi Vitamina B12 disponibili, ed il loro corpi sono costretti a convertire il cianuro in forme attive, metilcobalamina e adenosilcobalamina. Questa funzione extra stimola ma spreca energia, ed in realtà stanno aggravando le loro condizioni, non migliorando. Non hanno individuato la causa dei loro mali. Vedendo tutto ciò da una prospettiva di Igiene Naturale, nessuna terapia di vitamina B12 può causare una ripresa da una cosidetta malattia da carenza. Può solamente nascondere i sintomi e non dare la salute ad un individuo. Quando le persone dicono che i sintomi della loro apparente carenza di B12 sono stati alleviati dagli integratori di cianocobalina, si sbagliano. Non stanno assumendo coenzimi Vitamina B12 disponibili, ed i loro corpi sono forzati a convertire il cianuro in forme attive, metilcobalamina e adenosilcobalamina. Questa funzione extra stimola ma spreca energia dei nervi ed in verità stanno solamente peggiorando, non migliorando. Non hanno compreso la causa dei loro problemi. In conclusione, i vegani ed in crudisti vegani hanno quantità sufficienti di coenzima B12 nelle loro dieta, e DA QUELLE prodotte dai loro corpi. La causa più comune della carenza di B12 è l'incapacità di digerire, assorbire ed utilizzare le varie cobalamine dal cibo e dall' apparato intestinale come in casi di gastrite o gastroenterite. La causa del malassorbimento è comunemente un disordine gastrointestinale e di questo ne erano a conoscenza i patologi già nel 1800. In questo caso, bisogna rivedere il proprio stile di vita e riportarlo all'unisono con i bisogni dell'organismo vivente. Inoltre, l'assorbimento dei coenzimi B12 naturali può avere luogo nella bocca, nella gola, nell'esofago, nei tubi bronchiali ed anche nei piccoli intestini superiori, come pure lungo l'apparanto digerente. CIO' NON COMPORTA IL COMPLESSO MECCANISMO DI ASSORBIMENTO (FATTORE INTRINSECO) DELL'ENZIMA NELL'INTESTINO TENUE RICHIESTO INVECE DALLA CIANOCOBALAMINA. I COENZIMI SONO ASSORBITI PER DIFFUSIONE DALLE MEMBRANE MUCOSE.

mercoledì 19 maggio 2010

Mango, Banana, Papaya

Guardate che meraviglia questo piatto di frutta composto da
Mango
Banana
Papaya

Semplicemente come natura lo ha fatto, incredibilmente delizioso al palato.

Fonte: dal Web

Insalata di Ananas

Ananas
Mele
Banana
Arancia

Tagliate la frutta a pezzettoni e mescolate in un'insalatiera

Fonte: dal Web

FruttInsalata Colorata


5 mango tagliati a cubetti
6 kiwi sbucciati e tagliati a fettine e poi tagliati a metà mirtilli
lamponi

Mescola in una scodella e...buon appetito!

Fonte: dal Web

Crema di Mango e Datteri

80 gr di datteri
50 gr di acqua
1/2 avocado
2 mango


In un frullatore unisci i datteri con l'acqua e lavora fino a che non siano ben compatti. Poi aggiungi l'avocado. Lavora di nuovo fino a che non sia ben compatto, aggiungi il mango e lavora di nuovo.
Metti nel frigo e consuma a compatezza desiderata.


Fonte: dal web

sabato 15 maggio 2010

L'arancia, il limone, i denti e la monodieta...

Le Vie del Signore sono Infinite, 
quelle delle arance e dei limoni un pò meno..

Allora oggi mi ero messa a cercare delle cose con google e mi ritrovo "per vie traverse" molti articoli che parlavano di nuovo degli effetti deleteri a lungo e breve termine della frutta acida, in special modo delle arance e dei limoni. Vi giuro che per un pò avevo deciso di astenermi da questo capitolo perchè ne avevo parlato molto in precedenza ma sembra proprio che debba tornare ad occuparmene seriamente. In effetti, devo ammettere che dopo aver letto certe cose, non potevo esimermi dal tradurre il tutto e portarlo così all'attenzione del popolo fruttariano/crudista Italiano con una certa urgenza. Intanto ieri (Venerdì 14/05/10) , Andrea ha tenuto la sua brillante conferenza all'AVA approfondendo la questione della corretta alimentazione fruttariana che deve, se vuole mantenersi sempre in splendida forma, limitare l'uso di frutta acida, specialmente agrumi (arance, limoni, mandaranci, mandarini, clementine ecc)

Cominciamo per gradi...
Sul ben noto network vegan-crudista/fruttariano 30Bananas a Day, DurianRider apre una discussione ponendosi la seguente domanda: Si può vivere solamente di frutta?
Lui dice di non aver conosciuto nessuno personalmente che si nutrisse in questo modo e continua citando le parole di Doug Graham che però nella sua trentennale esperienza invece ne ha conosciuti alcuni e riporta così:
(Doug): Avevo un amico negli anni ottanta, che provò a vivere di arance. Stava bene per un certo periodo di tempo, un anno o due, ma poi la sua salute cominciò a declinare. "Non c'entra niente la mono dieta" diceva. Quando morì, fummo tutti molti tristi, ma questo fatto non fermò un altro ragazzo dal provare la stessa cosa. Anch'egli morì. Un altro ragazzo che conobbi, provò a vivere solamente di meloni e non morì. Ma danneggiò molto il suo cervello che sebbene riuscii a convincerlo a smettere la mono dieta a base di meloni, anche alcuni anni dopo non si riprese del tutto.  Era confuso.
Ci fu una persona che provò a vivere solamente con i pomodori. Anche così non funzionò".
Inoltre, Doug aggiunse che le persone che provarono a vivere di sole arance erano nella fasce d'età compresa tra 20 e 30 anni, mentre quello del melone sulla quarantina.

E' importante dire pure che sempre su questo stesso network sono presenti molte discussioni sulla frutta acida ed i suoi effetti nefasti sulla salute.
Ricordo a tutti che questo network è prevalentemente crudista dunque le persone che vi scrivono fanno largo uso di vegetali a foglia verde.

Poi, la mia ricerca si sposta su google che mi trasporta in questo sito (Beyond Veg), di cui torneremo a parlare più tardi e qui , trovo un link interessante ad un libro online che è un'enciclopedia della frutta tropicale e subtropicale. Scorro fino ad arrivare alle arance e con mia sorpresa scopro che alla voce "Tossicità" dice: Le persone che si trovano in prossimità degli alberi di arance in fiore possono avere delle reazioni respiratorie avverse. La segatura del legno degli alberi d'arancia, usata per pulire l'argenteria, causa asma. Un eccessivo contatto con gli olii volatili nelle bucce d'arancia possono produrre dermatiti. Le persone che succhiano le arance soffrono spesso di irritazioni alla pelle intorno alla bocca (io ne sono testimone in prima persona, quando bevevo succo d'arancia alla mattina nel mio periodo crudista e quando mi è capitato di mangiare tante clementine intere, NdR). Le persone che sbucciano arance in grandi quantità possono avere delle eruzioni e delle vesciche tra le dita. Se si toccano il viso, possono avere gli stessi sintomi. Nel sud della Florida, una giovane donna scosse un albero di arancio di modo che i suoi frutti cadessero dall'albero. Un'ora dopo ebbe l'orticaria, presumibilmente perchè si espose a degli spruzzi di olio dai peduncoli rotti, dall'estremità dell'attaccatura della buccia,  dai piccioli delle foglie rotte. Una reazione simile è accaduta scuotendo i frutti di un albero di lime a Miami. Le persone sensibili possono accusare delle reazioni respiratorie in prossimità delle emanazioni volatili delle bucce di arancia rotte.

Bene, passiamo al limone adesso.
"Le spine dell'albero di limone infliggono dolorose punture e graffi. L'olio della buccia di limone causa dermatiti da contatto, cronica in quelli che la maneggiano, la tagliano e spremono limoni quotidianamente. Le parti del corpo toccate con le mani contaminate mostrano reazioni gravi dopo l'esposizione solare. Le persone che succhiano i limoni possono soffrire di irritazioni ed eruzioni intorno alla bocca. Il legno degli alberi di limone e la sua segatura può indurre reazioni cutanee ai falegnami sensibili."

E poi, leggendo tra i suoi usi medicinali trovo:  "Il succo di limone nell'acqua calda è stata ampiamente utilizzato come lassativo quotidiano e per prevenire il raffreddore, ma le dosi giornaliere si è visto erodano lo smalto dei denti. L'uso prolungato riduce i denti al livello delle gengive."

Googolo di nuovo e trovo questo articolo, che assomiglia molto di più ad un appello accorato di Frederic Patenaude circa la salute dentale. Egli scrive: "Sto condividendo con voi quest'informazione perchè questo argomento mi è molto caro. A causa della disinformazione che ho ricevuto attraverso la lettura di certi libri sul crudismo e ai cattivi consigli ricevuti da molte autorità del movimento crudista e di quello dell'igiene naturale, ed anche a causa della mia stessa ignoranza, la mia salute dentale ha sofferto tremendamente. Prima di diventare crudista, all'età di 20 anni, senza avere alcuna cura speciale della mia dieta e della mia igiene dentale, ebbi solamente qualche otturazione. Dopo 4 anni che seguivo una dieta cruda o una dieta vegan cruda, ho avuto 19 carie. Anche allora, con sforzi sempre rinnovati per invertire la situazione, il decadimento continuò il suo corso ed ebbi altre carie.
Questa situazione infelice mi portò a trovare la verità e le falsità circa il decadimento dentale ed i disturbi gengivali ed ecco perchè sto condividendo con voi queste informazioni oggi.
Seguendo le avvertenze di cui sotto sono stato in grado di invertire la situazione  e sono riuscito a ricostruire lo smalto su alcuni miei denti.
Comprendi bene questo: Solamente una cosa provoca decadimento dentale, erosione e problemi gengivali: l'acidità che proviene dai cibi che mangi, o quella che viene prodotta dai batteri che vivono nella bocca. Questi batteri vivono di zuccheri e dalle particelle di cibo decomposte. Se i denti sono puliti, se l'acidità viene rimossa dai denti in tempo; se lo zucchero non rimane nella bocca per molto a lungo e se nella dieta sono presenti sufficienti minerali per costruire dei denti resistenti al decadimento, allora eviterai l'erosione e non avrai mai più problemi con i tuoi denti e con le gengive.
Da qui segue una lista di cibi e comportamenti da tenere a mente e vediamo che nella lista compaiono i nostri cari amici, agrumi, al punto 3 :"
I crudisti mangiano troppi cibi acidi. I cibi acidi hanno un impatto negativo sui denti. Questi includono succo di limone, succhi di frutti, agrumi, frutti non maturi, aceto ed altri cibi acidi."

I succhi di qualsiasi frutto diventano acidi se frullati/centrifugati. La natura li ha disposti affinchè li mangiassimo Integri. Questo è il prezzo che si paga nel modificare ciò che non dovremmo fare.

Per Frederic che è un crudista, la soluzione sta nel mangiare poco dopo delle verdure a foglie verde, perchè sono alcaline e riassettare perciò l'equilibrio ma questa soluzione fa uscire dal Fruttarismo.
Infatti, tanti fruttariani a causa delle arance e degli agrumi in generale, sono tornati a mangiare verdure a foglie verdi perchè "grazie" a questi frutti sono andati in acidità.
Quindi, se un crudista che mangia tanti agrumi si salva con le verdure, un fruttariano che vuole rimanere tale deve eliminare o limitare di molto (ovviamente a sua discrezione) questo tipo di frutta e togliersi assolutamente dalla testa di imbarcare in una monodieta ad arance a lungo termine (sto parlando di anni, non mesi) perchè abbiamo visto sopra come qualcuno ci sia rimasto secco (anche nel senso letterale del termine, dato che una monodieta a base di arance abbiamo visto abbia la capacità di scavare in profondità nel corpo).
Torniamo ora ad occuparci del sito Beyond Veg dove si può trovare una sezione creata per sfatare il "mito del fruttarismo". Infatti, secondo l'autore del sito stesso, Tom Billings, un tempo fruttariano per 8 anni, questa dieta non è adatta all'essere umano solamente perchè lui personalmente sbagliò l'approccio alla frutta e trasse quindi considerazione sbagliate nel corso della sua esperienza, tra cui l'avventura di una monodieta a base di agrumi..
In questo sito cominciamo a conoscere meglio questo personaggio attraverso i commenti di una persona che lo conosce meglio e passa in rassegna tutti gli "sbagli" che quest'uomo ha compiuto nel corso della sua avventura con la frutta e possiamo vedere chiaramente a chi Tom Billings si ispiri maggiormente (digiuni, frutta acida...vi ricorda qualcuno?)
Arriviamo ad un punto per noi cruciale: Tom Billings dice : "In uno dei miei viaggi, vissi con una monodieta a base di mandaranci per un mese."
Ecco di seguito il commento di Lawrence J. Forti: Una monodieta a base di agrumi è alquanto insensata: gli agrumi contengono molti acidi liberi e dissolvono il calcio dai denti. Molti sperimentatori della diete a base di frutta sono caduti vittima di questo errore, anche io. Continua dicendo: "(Se non credete che gli agrumi e gli altri frutti acidi disciolgono lo smalto dei vostri denti fate questa prova. Strofinate i vostri denti: sentirete che sono lisci. Mangiate un pezzo di arancia; strofinate i denti e li sentirete ruvidi, perchè il calcio è stato eroso dalla superficie. (Se proprio volete mangiare agrumi ed ananas, fatene un succo e beveteli con una cannuccia per minimizzare il contatto tra il succo ed i denti)."

Posso dire personalmente che questa soluzione funziona ma non è raccomandabile lo stesso perchè se è vero che bevendo si evita di molto il contatto con i denti rispetto a mangiare il frutto integro, l'acido viene ingerito comunque ed i suoi effetti potrebbero non essere tanto diversi sulle ossa...
Per chiudere in bellezza, ecco la testimonianza del Dottor Bass che cito testualmente:
"La mia esperienza personale con il Fruttarismo: "Ho provato ad essere fruttariano in prima persona quando ero sulla trentina. Ho seguito gli insegnamenti di Arnold Ehret e sono incorso in problemi quali infiammazioni gengivali, perdita di denti , pallore molto notevole ed una perdita di peso da 77 kg a 63 kg."

Dopo quanto detto, vedete come è facile sbandierare ai quattro venti che il fruttarismo è una dieta impraticabile per l'uomo? Basta sbagliare 1 frutto che succede un putiferio e le persone si fanno molto male..