martedì 1 settembre 2015

Il veganismo etico di Tom Regan ed il principio del male minore

Agricoltura intensiva assassina. Quando il veganismo uccide quanto l ´onnivorismo. O forse peggio.

Basandosi sulla teoria dei diritti animali, Tom Regan - filosofo americano,  conclude che gli esseri umani sono moralmente obbligati a consumare una dieta vegetariana/vegana. Quando gli venne ribattuto che anche una dieta vegana causa l´uccisione di molti animali campestri, rispose che anche quando cosí fosse, siamo ancora obbligati ad adottare una dieta a base di piante perché causerebbe semepre il male minore (Principio del Male minore), rispetto alle praticole agricole attuali.

 Ma sará forse valida la sua conclusione? E´ davvero impossibile che pratiche agricole alternative possano tradursi nel male minore per gli animali? 

 In questo post, analizzeremo diversi aspetti del problema, cercando di portare alla luce tutti i lati della questione.

 Sebbene il dibattito circa il vegetarianismo morale sia cominciato molto tempo addietro, e´ fortemente riemerso specialmente verso la fine del 20esimo secolo. Una delle opere filosofiche chiave sul tema e´ "A case for animal rights" (1983) di Tom Regan.

Questo scritto non vuole criticare la teoria di Regan sui diritti animali, bensí supporre che egli abbia assolutamente ragione nel considerare che gli animali abbiano il diritto di vivere la loro vita senza essere schiavi degli uomini.

 La conclusione di Regan e´che l´agricoltura animale interferisce nelle vite di migliaia di animali ogni anno, dunque gli esseri umani sono moralmente obbligati a consumare una dieta a base di piante.

L´obiettivo di questo scritto e´esaminare la conclusione vegana-morale della teoria di Regan sui diritti animali e non la teoria dei diritti in se stessa.

 Inoltre, esamineremo delle conclusioni alternative, tipo: esistono delle alternative alla conclusione morale tratta dalla teoria dei diritti animali?

 Il concetto del male minore

 Chiunque di noi abbia avuto modo di lavorare in una fattoria, sa bene come il "cibo" viene prodotto. Non e´dunque una novitá per queste persone l´ aver assistito alla morte o al ferimento di animali durante le operazioni agricole nei campi. E´impressionante il numero di soli conigli decapitati a causa del passaggio di macchinari. Una dieta vegana non esclude il suo impatto sugli animali. Anzi, la produzione di mais, fagioli, riso etc, uccide un elevato numero di creature, come presto leggeremo.

 Una delle domande chiave che venne posta a Tom Regan fu la seguente: Qual e´la differenza moralmente rilevante che distingue gli animali campestri da quelli di fattoria, ossia che renda accettabile l´uccisione dei primi affinche´ l´uomo possa nutrirsi ma rende inaccettabile l´uccisione di altri (maiali, mucche etc..) affinche´possiamo ugualmente trarne cibo? La sua risposta fu che dovremmo usare un metodo di produzione in grado di causare sempre il male minore.

 Nei suoi libri, Regan lo chiama "il principio di minor sofferenza agli animali" e lo descrive nel seguente modo: "Ogniqualvolta ci troviamo in una situazione dove tutte le opzioni disponibili producono  sofferenza a degli innocenti, dobbiamo scegliere quell´opzione che apporterá la quantitá minore di sofferenza".

 Sembra che Regan voglia dirci che la sofferenza minore agli animali venga assicurata nella produzione di una dieta a base di piante perche´almeno in questo modo gli animali da fattoria non verrebbero uccisi, a supporto della tesi che gli uomini debbano moralmente adottare una dieta vegana.

 E´davvero questa la conclusione che meglio giustifica il Principio del Male minore oppure ci sono delle alternative per ottenere lo stesso risultato?

 Per Regan non sembrano esserci altri modi ma sappiamo bene tutti che non esiste SOLO un modo di fare le cose..

Esistono o no dei sistemi di produzione agricola che possano causare meno sofferenza agli animali? Quanti animali campestri muoiono a causa della dieta vegana? 

Le creature che vivono nei pressi dei campi agricoli vengono uccise a causa delle attivita´agricole e piú intenso il numero di queste attivitá, maggiore il numero di vittime. La produzione dei raccolti include l´aratura, il plantio, il cultivo, l´applicazione di pesticidi e fertilizzanti ed infine il raccolto. Queste pratiche hanno effetti negativi sulle popolazioni di animali campestri. Per esempio, la sola operazione di falciare gli alfalfa, causa un declino del 50% della popolazione di ratti grigi. Il concetto di agricoltura intensiva e vittime causate da questa, si puó estendere in tutti i paesi del mondo. Sebbene il numero esatto di animali uccisi a causa delle varie pratiche agricole non sia stimabile con esattezza, alcuni studi ci dicono peró che sia alquanto elevato. Spesse volte sono gli agricoltori stessi a stupirsi dell´enorme numero di vittime al termine delle loro operazioni. Ma nessuno sembra preoccuparsi realmente del problema, tanto che fino ai giorni nostri, solamente pochi studi scientifici si sono occupati di svelare gli effetti che le pratiche agricole hanno sulle popolazioni di animali campestri. .

 In uno di questi pochi studi che esaminavano gli effetti del raccolto di cereali, Tew e Macdonald (1993) riportarono che la popolazione di ratti diminui´ da 25/per ettaro a meno di 5/per ettaro al termine. Questa diminuzione fu attribuita sia alla migrazione dai campi che alla mortalitá. Il tasso di mortalita´venne stimato intorno al 52%. In un altro studio, Nass et al. (1971) riportó che la mortalita´dei ratti polinesiani raggiunse il 77% durante il raccolto della canna da zucchero nelle Hawaii. Queste sono delle stime che si riferiscono ad una singola specie e solamente ad una singola pratica agricola (ad esempio, la fase del raccolto). Dunque, una media tra il 52% ed il 77% (circa 60%) per gli animali di altre specie durante la produzione annua sarebbe ragionevole. Usando la densitá di popolazione mostrata dai dati di Tew e Macdonald (1993), di 25/per ettaro moltiplicato per un 60% di tasso di mortalitá di 15 animali/per ettaro ogni anno.

 Se questi valori sono esatti, quanti animali morirebbero in un anno nella produzione di una dieta vegana?

Ci sono 120 milioni di ettari di campi negli Stati Uniti, ogni anno. Se tutta questa terra fosse usata per produrre colture a supporto di una dieta vegana, e se 15 animali campestri vengono uccisi per ettaro ogni ogni anno, allora 15 x 120 milioni = 1800 milioni o 1.8 milioni di animali uccisi ogni anno nella sola produzione vegana degli US.

Il modello del pascolo libero ucciderebbe meno animali?

Questo modello di pascolo libero, causerebbe certamente meno danni agli animali campestri rispetto all´agricoltura intensiva, tipicamente usata nella produzione di cibi vegetaili.
Semplicemente perché  ci sarebbero meno interventi da parte delle macchine. L´uccisione degli animali campestri sarebbe inoltre ridotta se gli animali erbivori fossero usati per raccogliere il foraggio e convertirlo in carne e prodotti lattei.

Sara´vero che questo sistema di produzione causi davvero meno sofferenza agli animali campestri?
Anche se i dati in nostro possesso non sono disponibili con estrema certezza, gli ecologisti credono fermamente che l´agricoltura senza macchinari avrebbe effetti positivi nella vita dei mammiferi selvatici. Si stima che questo modello sia in grado di ridurre oltre il 50% di morti o anche di piú.
In altre parole, solamente 7.5 animali campestri per ettaro morirebbero nella produzione di foraggio comparato  con il sistema di agricoltura intensiva (15/ettaro) impiegato per la dieta vegana.

Non sarebbe meglio lasciar pascolare libero il bestiame?

 Se metá del totale della terra negli Stati Uniti fosse usato per produrre prodotti a base di piante per il consumo umano e metá fosse usato per il pascolo libero, quanti animali morirebbero affinche´gli esseri umani possano mangiare? 60 milioni di ettari, produzione di piante x 15 animali/ettaro= 0.9 miliardi 60 milioni di ettari, pascolo libero x 7.5 animali/ettaro = 0.45 miliardi Totale: 1.35 miliardi di animali. Secondo questo modello, un minor numero di animali (1.35 miliardi) morirebbe, contrariamente al modello vegano (1.8 miliardi). Se applichiamo il principio del Male minore di Regan, sembrerebbe che gli esseri umani debbano essere moralmente obbligati a consumare una dieta di vegetali e prodotti animali derivati dai ruminanti.

 Ma quanti di questi erbivori dovrebbero morire per alimentare gli esseri umani nel modello del pascolo libero?

Secondo delle statistiche della USDA, degli 8.4 miliardi di animali da fattoria uccisi ogni anno come fonte di cibo negli Stati Uniti, approssimativamente 8 miliardi di questi sono animali avicoli e solamente 37 miliardi ruminanti, includendo maiali ed altre specie. Anche se il numero delle mucche uccise per ricavarne cibo ogni anno venisse raddoppiato a 74 miliardi al posto degli 8 milardi di animali avicoli, il numero totale degli animali che sarebbe necessario uccidere seguendo questo metodo alternativo, sarebbe di 1.424 miliari, ancora meno del modello vegano. Alternative possibili Il modello del pascolo libero avrebbe anche altri vantaggi. Primo, provvederebbe un habitat per molte specie di insetti, aiutandoli a sopravvivere. Inoltre, gli erbivori sono in grado di alimentarsi con foraggio che gli uomini non possono digerire. Cio´viene a favore per due motivi. Primo, le piantagioni di mais e soya sarebbero destinate solo al consumo umano invece che venir impiegate nell´allevamento degli animali. Secondo, il pascolo libero puó essere effettuato in terre non adatte alla produzione di raccolti per il consumo umano.

 Quali sono le altre alternative possibili che causerebbero il "male minore"? Ne vennero suggerite alcune, come per esempio quella della PETA (2001) in cui si asserisce che se proprio vogliamo cibarci di carne, dovremmo uccidere gli animali di taglia gigante, perche´cio´ diminuirebbe il numero di animali destinati a morire per il consumo umano. Suggerirono che la balena blu, il piú grande animale del mondo, sarebbe la scelta adatta. Ma quest´idea ha molto di insostenibile perche´sarebbe impossibile reperire un numero adequato di animali adulti senza causarne lo sterminio totale della specie. Una terza alternativa suggerita da Peter Cheeke sarebbe quella di eliminare l´agricoltura intensiva e stimolare le persone ad autoprodursi la dieta vegana in piccole proprietá senza l´uso di macchinari, al fine di ridurre l´uccisione degli animali campestri. Purtroppo la popolazione umana e´cosí numerosa e le terre sono distribuite nelle mani di pochi che il sistema sociale dovrebbe cambiare radicalmente. Volendo usare gli erbivori a tutti i costi, l´animale piú grande sarebbe l´elefante ma non e´possibile addomesticarlo e sicuramente non molte persone sarebbero contente di dire addio ai latticini e cibarsi con questa carne.. Esistono anche delle specie di cavalli di dimensioni maggiori a quelle delle mucche ma anche in questo caso, il desiderio di continuare a mangiare latticini unito alla non apertura verso la carne di cavallo, non ne fanno un candidato favorevole. Keravote (1993) propose che il male minore sarebbe se gli umani cacciassero localmente, grandi animali come per esempio, le alci. A prima vista potrebber sembrare una buona alternativa perche´da un lato eviterebbe il consumo di carburanti impiegati per il trasporto ma e´pur vero che gli animali a disposizione sono pochi e troppe le bocche da sfamare.. Il problema principale di questa alternativa sono i numeri elevati della popolazione umana attuale.

 Morti intenzionali contro morti casuali

 Taylor (1999) afferma che un altro problema sorge dalla tesi di Karasote, ossia quello dell´inflizione intenzionale della sofferenza contro la sofferenza non intenzionale, ossia un effetto indesiderato prevedibile delle proprie azioni. Gli animali campestri non muoiono intenzionalmente, ma come conseguenza della produzione di cibo umano, a differenza degli animali da fattoria che vengono allevati per essere uccisi intenzionalmente. La differenza tra le due forme di violenza verso gli animali a mio avviso, non esiste. La morte e´morte. Inoltre, c´e´da dire che molti agricoltori uccidono intenzionalmente gli animali campestri perche´considerati una minaccia ai loro raccolti. Un utilitarista non vedrebbe alcuna differenza morale tra le due morti, perche´l´utilitarismo asserisce che le conseguenze sono quelle che contano e non le intenzioni".

 Conclusione

 Le diete vegane non sono esenti dallo spargimento di sangue animale. Milioni di animali vengono uccisi ogni giorno nei campi ogni anno nel processo di produzione di una dieta vegana. Esistono giá altre forme di agricoltura in grado di uccidere meno animali. Un maggior numero di ricerche dovrebbe essere fatto in modo da calcolare il numero esatto di queste morti nei campi. Gli esseri umani dovrebbero restare aperti alla possibilitá di essere moralmente obbligati a mangiare una dieta a base di prodotti vegetali e di animali da pascolo libero.

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