lunedì 12 aprile 2010

L'Indigestione da Datteri



Il peccato originale fu un’indigestione. E tutta la Creazione, il risultato di dolorosi crampi addominali.

Ho mangiato dall’Albero della Conoscenza.
Ho dato ascolto alla Voce del Serpente ed ho mangiato.
Ho mangiato del frutto dell’Albero della Conoscenza.
Io, Chava dell’anno 5770, non sono cambiata affatto rispetto alla Chava di quasi seimila anni fa che prese del frutto e ne diede pure a suo marito.
Nel Giardino di Eden che era la mia stanza, andavo inconsapevolmente inscenando il mi-drash della Coscienza dell’Uomo agli albori della creazione.
La mia coscienza è tornata quasi al punto di partenza, appena prima di cadere.
Quasi per darmi di nuovo la possibilità di resistere e non commettere più lo stesso errore.
Ma ho fallito.
Ci sono caduta con tutte le scarpe. Letteralmente.
Ho ignorato il consiglio del saggio Nefesh, la coscienza fisica del mio Essere multidimensionale (corpo), non ho ascoltato il consiglio di D-o, che mi diceva di mangiare prima dell’Albero della Vita e poi dell’Albero della Conoscenza perché di fatto mi avrebbe dilaniato dentro, non avrei retto, sarei morta.
Fu così che scelsi di interrompere alcune ore prima del previsto il mio Tempo Melariano per mangiare degli squisiti datteri marocchini che avevo acquistato il giorno stesso al mercato di P.zza Vittorio. Affondai le mie dita nelle carni tenere e dolciastre di questi frutti meravigliosi, dapprima con delicatezza, poi via via sempre più velocemente, fino a violentarli, entrando in profondità nei loro corpi, per privarli dei loro semi..
Tutta la mia bocca era estasiata tanto era il piacere che traeva da questa allucinazione terrena. La mia mente cominciò ad eclissarsi subito dopo mi allontanai dalle mele, quando mi allontanai da D-o. Avvenne che lasciai il controllo del mio Essere sotto il comando del Serpente, che, ad ogni dattero, mi avvolgeva sempre più nelle sue spire.
Mi ritrovai così, inconsciamente, a danzare con il serpente il ballo della seduzione, quello che precede qualsiasi tipo di accoppiamento.
Tutti i miei sensi erano proni a ricevere quanto più piacere possibile e non intendevano smettere per alcun motivo. La cavità orale secerneva saliva in quantità abbondante alla stessa maniera della vagina di una donna che sta per concedersi ad un’attività parallela: l’atto sessuale.
Come due amanti nell’alcova, io ed il serpente ci rotolavamo uno su l’altro, sfidandoci a chi aveva il controllo dell’altro. A volte riuscivo a fermarmi, riuscivo a distrarmi qualche minuto, pensando ad altro; le mia mente ogni tanto riusciva ad affiorare e a farmi presente di smettere, che sarei finita male ma… ogni volta interrompevo la danza, era un’occasione in più per il serpente per farmi notare quanto calda io fossi, quanto eccitate le mie carni fossero, quanto desiderassi godere ancora.. Così, astuto, non perdeva neanche un secondo di più per sottomettermi e riprendere la danza da quell’esatto momento.
Ecco ora ero sotto di lui, cominciavo a sentire il peso in eccesso dei datteri sul mio stomaco. Il mio nefesh cercò di intervenire per salvare il salvabile visto che la mente era completamente fuori uso. Non volli prestare ascolto. Decisi di ignorare queste sensazioni di disagio, proprio come fa una donna quando il corpo di suo marito si muove sopra di lei donandole allo stesso tempo, attimi di piacere ed altrettanti di dolore.
Se avessi prestato ascolto al dis-agio, sarebbe terminato pure il piacere.
Ed io non volevo (potevo) permetterlo.

Il mio corpo provò davvero in tutti i modi a fermarmi, a farmi ri-prendere coscienza della situazione, addirittura trasformando la percezione del gusto dolce del dattero in quella acida di una fetta di prosciutto cotto…
A quel punto mi bloccai, decisa a darci un taglio. Aveva funzionato. Il mio corpo era riuscito a trovare qualcosa che mi disgustasse a tal punto da smettere all’istante. Aveva combinato insieme un prodotto animale e pure il discorso del “cotto”. Formidabile.
Tutto ciò fu davvero aberrante. Mi scosse nel profondo.
Ed il Serpente se ne accorse.
Ora mi trovavo sopra di lui. Il mio piede schiacciava la sua testa. Giù, verso il basso, verso la terra, verso la materialità. Lontano da me, che mi ero levata un poco più in alto grazie al richiamo della mia natura Divina. Come San Michele che lotta contro il drago, in quell’attimo la mia coscienza aveva incarnato tali iconolatriche sembianze.
Fuggii dall’alcova, diretta in cucina a riporre i datteri nella credenza ma quello fu decisamente il posto peggiore dove poterli riporre..
Credetti, infatti, di essermi liberata dalla danza se (n) ssuale del Serpente e per alcune ore mi lasciai dietro tutto questo turbine di forti emozioni ma accadde che…
Tornai a casa a notte fonda, dopo aver avuto più occasioni per distrarmi e prendere una cosiddetta “boccata d’aria” ma la brace che ardeva silenziosamente sotto la mia lingua non era stata per nulla spenta ed accadde che divampò improvvisamente appena varcai la soglia di casa e mi trovai a passare per la cucina. Così, dato che durante la passeggiata fuori, avevo avuto modo di far riprendere il mio fisico, presi di nuovo i datteri e li riportai in camera mia, dove aveva avuto inizio l’amplesso con il Serpente.
Il primo dattero che presi servì per chiamare il Serpente, per avvertirlo che ero tornata e che volevo di nuovo accoppiarmi con lui.
Non esitò ed uscì dallo stato di sonno in cui l’avevo costretto a cadere, deciso stavolta a darmi quell’appagamento che sapeva andavo cercando.

Quello che accadde non fu colpa sua. Fece né più né meno quello che volevo andasse fatto. Solo che lo fece veramente troppo bene…
La nostra danza riprese come se non fosse passato neanche un minuto dal momento in cui l’avevamo interrotta.
Le mie dita erano tutte appiccicose e per ogni dattero che mangiavo dedicavo qualche secondo a leccarmi pure le dita, perché - come i guru della Tv ed i maestri del consumismo insegnano - non si può godere veramente appieno di una cosa se non ci si dedica qualche minuto a quest’attività.
Del resto, in una società lecchina, abituata a leccar ben altre parti del corpo, il consiglio viene da un esperto certificato. Mangiai così altri 200 grammi di datteri. In meno di otto ore avevo mangiato quasi un kg di datteri.
Arrivai all’acme del piacere. Il mio stomaco era fisicamente pieno.
Ero felice ed appagata. Come uno scalatore che decide di arrivare in cima ad una vetta altissima, magari inviolata.

Andai a dormire serena con la prospettiva di svegliarmi il giorno dopo e fare tante cose, sicuramente di prenotare altri colloqui.
Non mi passò nella testa neppure per un secondo che così come un’alpinista ascende alla vetta dopo un’interminabile salita, egli deve pure discendervi e che questa fase non è più facile della precedente.

Non compresi di aver compiuto solo metà dell’Opera.
Non immaginai che ora era arrivato per me il momento della Creazione.
Il momento del parto. Il passaggio dell’Essere al Non-Essere.
Ora, avrei dovuto necessariamente svuotarmi. Tutti i livelli del mio Essere avrebbero dovuto farlo poiché avevano raggiunto sufficiente pienezza.

Il mattino dopo, il ritorno della mia neshama nel corpo fu disturbato da alcune fastidiose fitte all’addome che peggiorarono man mano ella riprendeva via via possesso delle sue facoltà.
Andai al bagno a far pipì. Fu l’ultimo passo prima di toccare terra. Prima di toccare il fondo. Si ruppero le acque. Le acque della vita, dove sopra vi aleggiava beato lo spirito di D-o.
Mi ritrovai così in pochi attimi ad urlare e contorcermi per casa in preda a crampi addominali mostruosi. Nel mio corpo stava avendo luogo il fenomeno dello Tzim Tzum, la contrazione che diede origine, attraverso varie fasi, alla creazione di tutti i mondi, compreso quello in cui viviamo noi ora.

Il creato è vivo. Re-spira. Si riempie d’aria e poi si svuota, bruciando energia, alternando piacere e dolore originando da questi intervalli altalenanti quel fenomeno misterioso che noi chiamiamo Vita.

Chai (חַי) in Ebraico significa “vivo”, è il simbolo della Vita. Allo stesso tempo questa parola significa anche crudo, facendo intuire senza troppi giri di parole che la vita risiede nel cibo crudo.
Chava – Eva, era la madre di tutti i viventi (non solo gli uomini), difatti da chai scaturiscono le chayot – le creature viventi (animali e vegetali).
Se si uccidono delle chayot per ottenerne prodotti di cui nutrirsi anche se fossero chai (crudi) non sarebbero comunque più vivi; con la morte esse diventerebbero tutt’altra cosa – non sarebbero più chayot perché la vita ha abbandonato i loro corpi. Questo è esattamente ciò che accade al cibo ed a qualsiasi prodotto quando entra in contatto con il fuoco.
Il fuoco è divino e potente quanto l’uomo. E l’uomo purtroppo, potrà comprendere il fuoco (e come usarlo) solamente dopo che avrà conosciuto la propria origine divina.
L’uomo ha dis-perso il sale del suo sapere mettendolo in prodotti carnei da conservare; ha bruciato i libri non scritti della sua conoscenza sul fuoco distruttore degli olocausti animali/vegetali; l’Adam ha cominciato a distruggere tutto ciò che era intorno a lui quando si allontanò da una coscienza di Condivisione per migrare verso una coscienza di tipo Egoistico; quando perciò abbandonò la frutta e si è diede, complice il fuoco, all’onnivorismo, che gli aperse le porte verso un abisso di profondo dolore dove le altre creature - un tempo sue migliori amiche – oggi non sono che schiave e martiri di cotanta depravazione.
Con un morso Chava assaporò il gusto del frutto della conoscenza e poi, entusiasta ne offrì anche a suo marito, il quale non seppe resistervi, e ne mangiò fino ad accusare tutti i sintomi di una bella indigestione.

Il valore numerico della parola chai è 18. Se applichiamo una gematria semplicissima, vediamo che sommando 8+ 1 otteniamo 9, che ci riconduce alla lettera Tet - lettera che rappresenta figurativamente l’utero ed il serpente – in Ebraico Tan.
E’nell’utero che avviene la fecondazione, che il bambino, prodotto dell’atto sessuale, comincia a formarsi.

La radice di questa parola è formata dalle lettere Chet-Yud-Hei. Chet – mancare l’obiettivo (tradotto miseramente con la parola “peccato”) Yud – il “punto” iniziale dello Spazio-Tempo, momento in cui comincia lo TzimTzum, la formazione dell’indigestione in atto, lettera Hei, la quinta lettera dell’alfabeto Ebraico che simboleggia la dimensione materiale, i nostri cinque sensi fisici, lo TzimTzum entra in questo mondo sottoforma dell’incessante respiro cosmico che tutto pervade, sottoforma del piacere e del dolore, della gravidanza, dove per un pelo (dattero) l’uomo non riesce ad emulare il suo Creatore..
Qual è la mancanza, quale la differenza, dov’è il peccato? La nostra coscienza.
D-o creava per dare, noi per ricevere egoisticamente.
Paghiamo a caro prezzo i vizi del nostro egoismo. Osserviamolo primo su tutto, concentrandoci su ciò che mangiamo. Ho visto tante volte correre in bagno persone che si erano abbuffate dopo un sontuoso rinfresco di matrimonio/comunione/battesimo ecc perché avevano passato le ultime 6 ore sedute ad un tavolo cercando di riempire i loro corpi come fossero sacchi della spesa. Già, perché è esattamente così che la maggior parte dell’umanità concepisce il proprio organismo: un contenitore da riempire di cose a caso.
I prodotti cotti/lavorati/trattati, specialmente quelli di origine animale, generano sonnolenza, disturbi di vario genere anche gravi, effetti indesiderati da far invidia ai farmaci più potenti che il S.S. N non passa. Forse perché lo Stato non vuole sentirsi “troppo” responsabile delle morti che propina ad altri. A pagamento.
C’è poco da scherzare su questa faccenda: con tutti quei conservanti/additivi/coloranti/emulsionanti cancerogeni ecc che quei prodotti contengono, oltre che ad essere già di per sé tossici per un organismo sano, possono suscitare reazioni sconosciute in concomitanza con altri farmaci che si stanno assumendo o che si assumeranno. Esempio: mangio la pasta al ragù mi viene mal di testa e prendo un’aspirina..
I dottori di oggi non sono più come quelli di una volta…
Eh già. Questo è accaduto quando l’uomo scelse di indugiare nella malattia, crogiolandosi nei piaceri del cotto e dei prodotti animali.
Una volta i dottori venivano pagati per ogni giorno in cui il paziente era in salute ed i pagamenti si omettevano qualora egli fosse caduto malato. Perché significava che il dottore non aveva fatto bene il suo lavoro. Perché il lavoro del dottore era quello di promuovere la vita sana, il benessere.
Ma oggi? I dottori di oggi sono divenuti degli abili commercianti; peccato che vendano morte piuttosto che vita, peccato che prescrivano farmaci inutili (e dannosi) pur di stampare una ricetta rossa in più che, tradotto in termini materiali significa “più soldi a fine mese” , peccato contribuiscano in questo modo a mantenere in piedi un sistema malato, cancerogeno, che se c’è una cosa che andrebbe davvero sanato, sarebbe, prima fra tutti, lo Stato ed il Sistema Sanitario Nazionale. Bisogna compatirli del resto: la classe medica è schiava di quella farmaceutica. Il dottore non è che un burattino, non è che uno di noi. E’ uno schiavo lavoratore che deve sfamare la sua famiglia e così pure il malach-rappresentante (angelo/messaggero) delle multinazionali, che viene ad annunciare la lieta novella a noi tutti: “Con questo farmaco risolverete tutti i mali che vi affliggono, di questo mondo e quell’altro!”
La scienza è come la religione: entrambe si prodigano a chi fa prima nell’annunciare la venuta del tanto atteso Messia.


Le contrazioni forti durarono solo un paio d’ore, grazie a D-o. Mi misi a letto subito in quanto non potevo assolutamente rimanere in piedi e cercai, una volta sdraiata, di assumere una posizione che mi facesse evitare di sentire troppo dolore. Invano. Cominciai a sudare freddo per cui mi spogliai. Cercai di respirare muovendomi il meno possibile in quanto ogni volta espiravo l’immaginaria morsa fatta di lunghi e profondi aghi affondava i suoi denti metallici nelle mie carni lasciandomi con il fiato spezzato.
Nel frattempo, si scatenò un crampo allucinante sul muscolo del mio trapezio destro. Non riuscivo a tenere più a bada tutti questi dolori. Avevo assunto le posizioni più assurde che neanche il più esperto maestro di Kamasutra al mondo avrebbe potuto inventare nel pieno della sua facoltà creativa. Fui costretta ad arrendermi. Non potevo più contrastare il male. Mi abbandonai a lui, al suo gioco, come prima mi abbandonai con piacere a quello del Serpente. Lo feci quando mi resi conto che non avevo davvero altra alternativa; mi scopersi indifesa, sola, priva di armi con cui arginare gli infami effetti dei miei eccessi.
Non avevo dei frutti della maracuya per cui non mi rimaneva che pensare alla malva, come rimedio erboristico presente in casa, oppure al maalox.
Abbandonai subito questi pensieri anche perché con gli anni, ho avuto modo di sviluppare una certa confidenza con me stessa e la mia parte fisica e so di poter resistere a lungo con il dolore prima di prendere qualsiasi cosa e poi perché l’idea di bere almeno 4 tisane tiepide prima di considerare un qualche blando effetto sul mio corpo mi disgustavano alquanto.

Lo strazio delle carni mi insegnò a sottostare duramente alle regole del gioco.
Tutto ciò – dall’abbuffarsi di datteri ai crampi addominali sintomo di indigestione – assunse sempre più i chiari risvolti di un’esperienza sado-masochista.
La vita de-generata dalla caduta lo è.
La storia dell’uomo è nata a causa di un’indigestione di frutti acerbi, dicono parafrasando i maestri kabbalisti. Mi lasciai così sommergere dal dolore; mi immersi dentro di esso, affinché divenisse per me come una seconda pelle. Lasciai che gli spasimi, come lingue salate nel mare delle afflizioni, leccassero le ferite aperte delle mie carni infliggendo ad ogni colpo, maggior pena. Per dis-perdermi in esso nella sua immensità e non provare più dolore, dovetti necessariamente abbandonare la percezione del mio ego.
E per fare questo, dovetti prima di tutto imparare a lasciarmi cullare al ritmo dei burrascosi movimenti dei flutti marini che con veemenza si schiantavano sui promontori delle mie ossa senza opporvi alcuna resistenza, divenendo una sola cosa con l’infinito oceano delle mie Emozioni.
Le prime volte furono terribili perché queste ondate arrivavano sempre inaspettatamente e non sapevo prevedere da dove, lasciandomi di fatto vulnerabile e disarmata.
Quando finalmente mi lasciai andare, ben presto mi accorsi che nel loro caos danzante, queste lingue d’acqua tendevano a formare un pattern ben definito attraverso il quale riuscivano a comunicare tra loro. Mi abbandonai sempre più, focalizzando la mia attenzione non più sul dolore fisico ma sul dialogo che stavano conducendo. Non stavano semplicemente parlando, quello che ora percepivo era un canto! Un canto affascinante.
Nella morsa straziante degli spasimi avevo trovato finalmente un po’ di sollievo!
Ora gioivo e sopportavo tutto molto meglio.
Man a mano che il processo proseguiva, comprendevo sempre più le cause intrinseche dello stato in cui mi trovavo ed acquisivo lucidità. Divenni pienamente cosciente che ciò che stavo vivendo era il diretto risultato di una mia mancanza (peccato) ed era necessario ora esperirne tutti gli effetti. Non ci sono preservativi per questo genere di rapporti sessuali. I rimedi che esistono sono paragonabili agli effetti distruttivi della pillola abortiva RU486.
Se proprio capita di dover soffrire, meglio se lo si faccia in maniera cosciente, genuina, piuttosto che farlo a causa di un rimedio tossico che ti toglie il dolore senza che tu faccia niente per avanzare nel percorso spirituale e finisca poi con il privarti della consapevolezza intrinseca del Male.

Comprendere cosa sia il Male significa sapere come evitarlo.
Abbiamo tanti farmaci oggi che servono a cancellare i sintomi del dolore perché non solo gli orecchi ed il cuore dell’uomo si sono induriti, ma anche la sua capacità di “vedere al di là” delle apparenze si è notevolmente ridotta.
Questo perché abbiamo smesso di usare i nostri sensi spirituali, ed ora stiamo perdendo anche quelli fisici,deboli, incapaci da soli senza l’ausilio degli altri, di comprendere la radice Essenziale delle cose. Quei canti furono come una nenia per me e mi addormentai.
Mi svegliai ore dopo già molto meglio.
Commisi l’errore però di continuare con il mio digiuno d’acqua.
Spiritualmente stavo facendo il pieno di Chochmah; mi stavo nutrendo di saggezza.
Ma l’acqua che bevevo io era inorganica e contribuiva ad acidificare il mio corpo, già mezzo acidificato a causa dei datteri essiccati.
Portai le pene di questa vicenda ancora il giorno successivo, quando i miei tessuti cominciarono a rilassarsi di nuovo. Mi alzai presto quella mattina per recarmi in centro a sbrigare delle commissioni e prima di uscire mangiai una sola mela dopo 24 h di digiuno d’acqua. Ero in formissima, a parte i muscoli indolenziti. Tornata a casa, proseguii solo mele fino a sera, quando mi feci la solita insalatona ed oggi, eccomi qua, tornata a pieno regime, a scrivere questa mia esperienza dattilifera senza fine!