sabato 18 aprile 2009

L'Alimentazione Viva - L'uomo è quel che mangia



L'ALIMENTAZIONE VIVA

A cura del Prof. Armando D'Elia


"L'UOMO E' QUEL CHE MANGIA"

Tutti i vegetariani concordano nel ritenere che - in linea di principio - l'uomo dovrebbe consumare solo alimenti vegetali e nello stato in cui essi si trovano in natura, cioè freschi, crudi e nella loro integralità, "cotti" a fuoco lento dai raggi del sole. Sappiamo tuttavia che tra i vegetariani soltanto i crudisti si attengono completamente a tale principio sul piano pratico, mentre gli altri coprono solo in parte i loro pasti quotidiani con cibi crudi, oppure praticano il crudismo solo per qualche giorno o per alcuni pasti. Dobbiamo riconoscere che è quanto meno innaturale sottoporre a cottura, quasi a correggere la natura, i cibi offertici crudi dalla natura stessa; e del resto 1'uomo, prima di scoprire il fuoco e di imparare a utilizzarlo, producendolo a volontà, a scopo culinario, per moltissimi millenni non ha potuto che cibarsi di cibi crudi. La cottura dei cibi in realtà risulta estremamente dannosa in quanto denatura, devitalizza e uccide il cibo che, se non era già morto prima di essere sottoposto a cottura, diviene certamente morto dopo cotto e come tale non più adatto alla nutrizione ottimale del corpo "vivo" dell'uomo e degli altri animali assoggettati all'uomo: un corpo "vivo" dovrebbe infatti alimentarsi solo con cibi "vivi' , giacchè i cibi morti sono mortiferi. Torneremo più tardi su questo argomento. L'uomo è l'unico animale che sottopone a cottura il proprio cibo. Non solo, ma obbliga anche gli animali che ha assoggettato pensiamo per esempio al cane e al gatto) a mangiare cibi cotti. E 'uomo è l'unico animale che si ammala e che fa ammalare gli animali cosiddetti domestici, alimentati nella stessa maniera, tanto che - come tutti sanno - una apposita categoria di medici, - i veterinari - si interessa esclusivamente di tali animali.

Ma esiste veramente una così lineare relazione di causa ed effetto tra la cottura dei cibi e i danni alla salute dell'uomo e degli animali domestici? Indubbiamente non è soltanto la cottura dei cibi a produrre lo stato di malattia e la morte prematura dell'uomo; vi sono altre cause, o meglio "concause", ma la cottura del cibi è, senza alcun dubbio, se non l'unica, la causa di gran lunga più rìlevante di tali disastrosi effetti. Si potrà certo obiettare che si può cuocere anche un cibo già morto, per esempio il cadavere di un animale e il corpo già morto di un vegetale (piante o frutta disseccate, semi tanto vecchi da aver perduto la facoltà germinativa, ecc.) ma noi qui vogliamo in particolar modo riferirci alla cottura di cibi che, pur potendo essere consumati allo stato crudo con gran vantaggio dell'uomo, sono sottoposti, invece, irrazionalmente, all'azione del calore artificiale con effetti senz'altro devastanti e degni della nostra massima attenzione, come tra poco vedremo.

Lo spunto a questo mio intervento mi è stato offerto da quel bellissimo volumetto, che l'Associazione Vegetariana Italiana (AVI) giustamente diffonde e raccomanda, dal titolo "Non più alimenti "morti" per vivere" e nel quale sono magistralmente esposti, da tutti i validissimi autori che hanno collaborato alla sua stesura (tra i quali mi fa piacere ricordare un medico assai stimato, il dott. Delor), i contributi delle diverse discipline scientifiche al processo, in atto, di recupero della nostra alimentazione naturale, soprattutto medìante la esclusione degli alimenti "morti". In realta ci sarebbe da aggiungere ben poco a detto lavoro, ma egualmente voglio dare il mio modesto contributo a tale importante fine esponendovi alcune considerazioni, corredate da notizie che ritengo possano essere interessanti. Chiedo sin d'ora venia se, per esigenze dì chiarezza, sarò costretto ad affermazioni che sono probabilmente ai limiti della ovvietà.

Un seme, cotto, non germina pìù; un uovo di gallina, fecondato, se covato dopo cotto, non darà mai più un pulcino; una pianta erbacea, appena estirpata e con l'apparato radicale integro, se cotta, non riattecchirà più nel terreno; e gli esempi potrebbero continuare. La cottura, quindi, uccide la vitalità questo è evidente.

Le tecniche usate per la cottura dei cibi vanno dall'arrostimento diretto su griglie a quello su superfici arroventate, dai fornia legna o a combustibile liquido alla bollitura in recipienti adatti, dai forni elettrici a quelli a raggi infrarossi o a microonde, dai forni a gas metano a quelli a bombole,ecc., ecc. Ma tutte codeste tecniche servono a raggiungere solamente un effetto: elevare la temperatura del cibo sottoposto a cottura per indurvi delle modifiche supposte utili ai fini digestivi, ma soprattutto che aumentino l'appetibilità dei cibi così trattati, cioè per soddisfare il palato. E in effetti la cottura "crea" nuovi odori e nuovi sapori; inoltre ammorbidisce e disgrega il prodotto facilitandone la masticazione incoraggiando così, purtroppo, la dannosa abitudine di mangiare in fretta masticando poco.

Nell'ottica della caccia al microbo di pasteuriana si attribuisce alla cottura il merito di operare un risanamento dei cibi sul piano microbiologico; ma questa considerazine perde pressochè completamente di valore quando si pensa che la cottura distrugge, come vedremo fra poco, proprio quel compesso di fattori che sono alla base delle nostre difese naturali che dovrebbero difenderci dai microbi. Si adduce un'altra motivazione alla cottura e cioè che l'alimento cotto si presta più di quello crudo a costituire un supporto per condìmenti ed ingredienti aggiuntivi, quali salse più o meno piccanti, sughi, intingoli vari, sostanze aromatiche, grassi, ecc.; ma in effetti è lo scadimento di vitalità conseguente alla cottura che spesso determina tale bisogno di condimenti violenti, che sono poi in sostanza degli eccitanti, ai quali purtroppo il palato si abitua, avendo perduto la capacità di gustare le cose semplici e naturali con i loro relativi tenui e delicati sapori. In sostanza, il ricorso ai condimenti forti diviene di fatto per l'organismo una vera e propria causa di intossicazione. In conclusione, non dobbiamo tener conto dei fini edonistici anzidetti (della pretesa giustificazione della cottura imperniata sulla necessità di prolungare la conservazione dei cibi, diremo più avanti); dobbiamo invece sentirci interessati ad indagare scientificamente per sapere se la cottura incide veramente, e in quale misura, sulle caratteristiche vitali e nutrizionali dell'alimento. Passiamo, quindi, ad una analisi, necessariamente succinta per questioni di spazio, delle conseguenze della cottura sui diversi componenti nutritivi dei cibi.
Cominciamo dalle proteine, le quali subiscono un brusco decadimento del loro valore biologico, dovuto in gran parte alla parziale (in qualche caso totale) di aminoacidi essenziali ; tale distruzione e particolarmente intensa in caso di bollitura in quanto questa provoca la idrolizzazione dei composti proteici e la susseguente dispersione, nel mezzo liquido, degli aminoacidi. Se poi la cottura delle proteine si effettua o mediante la frittura, che avviene a temperatura più elevata, o mediante forni a raggi infrarossi, che sono molto penetranti, si verificano effetti ancora più negativi di quelli provocati dall'arrostimento. Considerando poi l'aspetto "digeribilità", si deve tener presente che le sostanze proteiche già a 60°C iniziano a flocculare e poi coagulano del tutto, divenendo inattaccabili dai succhi gastrici e quindi indigeste. Passiamo ora ai carboidrati (per brevità ci limitiamo ad esemplificarli con il pane, della cui componente proteica abbiamo detto prima). Il noto cancerologo dott. Alberto Donzelli (v.Girasole 1984 n. 3) ci mette in guardia dall'usare parti "imbrunite" dei prodotti da forno (tutti!), che contengono composti mutageni. Il calore, infatti, prima destrinizza i carboidrati (amidi) e poi li riduce a zuccheri, zuccheri però riducenti che sono capaci di legarsi ad alcuni costituenti delle proteine, dando prodotti cancerogeni.

In merito alla maggiore digeribilità degli amidi cotti bene (ad esempio la crosta del pane, in confronto alla mollica interna), derivante dall'azione della temperatura (come si diceva sopra, destrinizzazione e poi zuccheri), si tenga presente che il corpo umano è capace di fare la stessa cosa con i propri enzimi (ptialina, ecc.) amilolitici, senza ricorrere alla cottura: l'amido (farina), insapore all'inizio della masticazione, continuando a sottoporlo all'azione della saliva, diviene dolce. Pertanto questo preteso gran vantaggio della cottura ai fini di gestivi, non è proprio tale da riscattare la cottura stessa dalle schiaccianti conseguenze negative che essa comporta!

In quanto all'azione del calore sui grassi, esso causa fenomeni di ossidazione, che portano dapprima alla formazione di perossidi e di idroperossidi, e poi di acidi grassi a catena corta, olfattivamente sgradevoli; inoltre la glicerina che si libera tende a decomporsi trasformandosi in acroleina composto oltremodo tossico. Infine, l'acido linoleico, come il finolenico, preziosi per la sintesi dei fosfolipidi, subiscono, con il calore, delle modifiche strutturali che li rendono inattivi e quindi incapaci della predetta sintesi.

Da tener presente inoltre che in commercio, al dichiarato scopo di impedire i suddetti effetti negativi della ossidazione dei grassi indotta dal calore, si impiegano, come additivi, i cosiddetti "antiossidanti" ( per esempio, il butil-idrossianisolo, gallati
vari, l'alfa-tocoferolo ecc.). Ma in realtà tali additivi non impediscono un bel niente perchè il calore pare che ossidi, inattivandoli, i medesimi antiossidanti prima che i grassi.
Ma la cottura crea danni molto gravi distruggendo o denaturando irrimediabilmente, e pressoche integralmente, il corredo vitaminico dei cibi, specie le vitamine termolabili come è ovvio. Tuttavia l'opera distruttiva più grave è quella che viene effettuata a carico di quell' insieme di fattori vitali che costituiscono il carattere distintivo dei cibi "vivi" nei confronti dei cibi "morti" e cioè : enzimi, ormoni, pigmenti vari, essenze volatili, auxine, biostimoline, complessi antibiotici e antiossidanti naturali, aromi, complessi germinativi ecc. La perdita, per effetto della cottura, di questi fattori vitali è irrimediabile e gravissima in quanto essi costituiscono la base biologica delle difese naturali dell'organismo.
Inoltre la clorofilla, durante la cottura delle parti verdi dei vegetali, subisce la degradazione a feofitina, di colore bruniccio, inutilizzabile dall'organismo.

Da tener presente infine che tra le peggiori conseguenze della cottura è da annoverare la perdita, nell acqua di cottura, o per altre vie, degli oligoelementi e dei preziosi sali minerali.

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